giovedì 11 ottobre 2012

Appunti papali a “Gaudium et spes”


 



di Andrea Tornielli

La costituzione conciliare «Gaudium et spes» non ha chiarito ciò che era «essenziale e costitutivo dell’età moderna. Lo afferma Benedetto XVI nella prefazione di una pubblicazione dei suoi scritti conciliari che sarà prossimamente pubblicata dall’editore tedesco Herder. Il testo, inedito, viene anticipato nel numero speciale illustrato de «L’Osservatore Romano» dedicato al cinquantesimo del Vaticano II, che racconta la stagione conciliare, con una narrazione basata sulle cronache dell’epoca, dettagli inediti o poco conosciuti, immagini e fotografie rare.

Parlando del cosiddetto «Schema XIII», dal quale «poi è nata la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo», il Papa osserva: «Qui veniva toccato il punto della vera aspettativa del concilio. La Chiesa, che ancora in epoca barocca aveva, in senso lato, plasmato il mondo, a partire dal XIX secolo era entrata in modo sempre più evidente in un rapporto negativo con l’età moderna, solo allora pienamente iniziata. Le cose dovevano rimanere così? La Chiesa non poteva compiere un passo positivo nei tempi nuovi?».

«Dietro l’espressione vaga “mondo di oggi” – continua Benedetto XVI – vi è la questione del rapporto con l’età moderna. Per chiarirla sarebbe stato necessario definire meglio ciò che era essenziale e costitutivo dell’età moderna. Questo non è riuscito nello “Schema XIII”. Sebbene la Costituzione pastorale (“Gaudium et spes”, ndr.)esprima molte cose importanti per la comprensione del “mondo” e dia rilevanti contributi sulla questione dell’etica cristiana, su questo punto non è riuscita a offrire un chiarimento sostanziale».

Ratzinger fa quindi notare che «inaspettatamente, l’incontro con i grandi temi dell’età moderna non avvenne» nella grande Costituzione «Gaudium et spes», bensì «in due documenti minori, la cui importanza è emersa solo poco a poco con la ricezione del concilio». Innanzitutto nella Dichiarazione sulla libertà religiosa, richiesta e preparata «con grande sollecitudine – spiega il Papa – soprattutto dall’episcopato americano». La dottrina della tolleranza non appariva più «sufficiente dinanzi all’evolversi del pensiero filosofico e del modo di concepirsi dello Stato moderno».

«Si trattava – scrive Ratzinger della libertà di scegliere e di praticare la religione, come anche della libertà di cambiarla, in quanto diritti fondamentali alla libertà dell’uomo». Il Papa spiega che «dalle sue ragioni più intime, una tale concezione non poteva essere estranea alla fede cristiana, che era entrata nel mondo con la pretesa che lo Stato non potesse decidere della verità e non potesse esigere nessun tipo di culto».
«La fede cristiana rivendicava la libertà alla convinzione religiosa e alla sua pratica nel culto, senza con questo violare il diritto dello Stato nel suo proprio ordinamento: i cristiani pregavano per l’imperatore, ma non lo adoravano. Da questo punto di vista si può affermare che il cristianesimo, con la sua nascita, ha portato nel mondo il principio della libertà di religione».

Ma, fa osservare ancora Benedetto XVI, «l’interpretazione di questo diritto alla libertà nel contesto del pensiero moderno era ancora difficile, poiché poteva sembrare che la versione moderna della libertà di religione presupponesse l’inaccessibilità della verità per l’uomo e che, pertanto, spostasse la religione dal suo fondamento nella sfera del soggettivo».

«È stato certamente provvidenziale – aggiunge Ratzinger – che, tredici anni dopo la conclusione del concilio, Papa Giovanni Paolo II sia arrivato da un Paese in cui la libertà di religione veniva contestata dal marxismo, vale a dire a partire da una particolare forma di filosofia statale moderna. Il Papa proveniva quasi da una situazione che assomigliava a quella della Chiesa antica, sicché divenne nuovamente visibile l’intimo ordinamento della fede al tema della libertà, soprattutto la libertà di religione e di culto».

Il secondo documento importante per l’incontro con l’età moderna «è nato quasi per caso ed è cresciuto in vari strati. Mi riferisco alla dichiarazione Nostra aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane». Un testo inizialmente pensato solo per le relazioni con l’ebraismo, «testo diventato intrinsecamente necessario dopo gli orrori della shoah». I Padri conciliari dei Paesi arabi «non si opposero», ma spiegarono che «si doveva spendere anche qualche parola sull’islam. Quanto avessero ragione a riguardo, in occidente lo abbiamo capito solo poco a poco». Nel testo si sarebbe parlato anche di altre religioni e del tema religione in generale oltre che del dialogo tra le religioni.

Ma, riconosce Benedetto XVI, nel «processo di ricezione attiva è via via emersa anche una debolezza di questo testo di per sé straordinario: esso parla della religione solo in modo positivo e ignora le forme malate e disturbate di religione, che dal punto di vista storico e teologico hanno un’ampia portata; per questo sin dall’inizio la fede cristiana è stata molto critica, sia verso l’interno sia verso l’esterno, nei confronti della religione». Un accenno, quello alle forme «malate e disturbate» di religione che può essere letto anche in riferimento al fondamentalismo.

Infine, il Papa torna sull’ermeneutica del Vaticano II ricordando che i vescovi «non potevano e non volevano creare una fede diversa o una Chiesa nuova, bensì comprenderle ambedue in modo più profondo e quindi davvero “rinnovarle”. Perciò un’ermeneutica della rottura è assurda, contraria allo spirito e alla volontà dei Padri conciliari».



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