domenica 12 agosto 2012

L’ORIENTAMENTO DELLA PREGHIERA LITURGICA

 
 
 

Al di là dei cambiamenti che storicamente hanno caratterizzato la disposizione architettonica delle chiese e degli spazi liturgici, una convinzione è rimasta sempre chiara all’interno della comunità cristiana, quasi fino ai giorni nostri. Mi riferisco alla preghiera rivolta a oriente, tradizione che risale alle origini del cristianesimo.

Che cosa si intende con “preghiera rivolta a oriente”? Si intende l’orientamento del cuore orante a Cristo, Colui dal quale proviene la salvezza e al quale si tende come al Principio e al Fine della storia. A est sorge il sole e il sole è simbolo di Cristo, la Luce che sorge dall’oriente. Si ricordi, in proposito, il passo del cantico messianico del “Benedictus”: “…per cui verrà a visitarci dall’alto come sole che sorge”.

Studi molto seri e anche recentissimi hanno ormai dimostrato che, in ogni tempo della sua storia, la comunità cristiana ha trovato il modo di esprimere anche nel segno liturgico, esterno e visibile, questo orientamento fondamentale per la vita della fede. Così troviamo le chiese costruite in modo tale che l’abside fosse rivolta verso oriente. Quando non fu più possibile un tale orientamento nella edificazione del luogo sacro, si fece ricorso al grande crocifisso posto sopra l’altare e a cui tutti potessero rivolgere lo sguardo. Si pensi, ancora, alle absidi decorate con splendide raffigurazioni del Signore, verso le quali tutti erano invitati ad alzare gli occhi al momento della Liturgia Eucaristica.

Senza entrare nel dettaglio di un percorso storico che ci porrebbe all’interno di una riflessione riguardante lo sviluppo dell’arte cristiana, in questo contesto ci interessa affermare che la preghiera orientata, ovvero rivolta al Signore, è espressione tipica dell’autentico spirito liturgico. In questo senso, come ben ci ricorda il dialogo introduttivo del Prefazio, al momento della Liturgia Eucaristica siamo invitati a rivolgere il cuore al Signore: “In alto i nostri cuori”, esorta il sacerdote, e tutti rispondono: “Sono rivolti al Signore”. Ora, se tale orientamento deve essere sempre interiormente adottato dall’intera comunità cristiana raccolta in preghiera, esso deve poter trovare espressione anche nel segno esteriore. Il segno esteriore, infatti, non può che essere vero, così che in esso si renda manifesto il corretto atteggiamento spirituale.

Ecco, allora, il motivo della proposta fatta a suo tempo dal card. Ratzinger e ora riaffermata nel corso del suo pontificato, di collocare il crocifisso al centro dell’altare, in modo tale che tutti, al momento della Liturgia Eucaristica, possano effettivamente guardare al Signore, orientando così la loro preghiera e il loro cuore. Ascoltiamo direttamente Benedetto XVI, che così scrive nella prefazione al I volume della Sua Opera Omnia, dedicato alla liturgia: “L’idea che sacerdote e popolo nella preghiera dovrebbero guardarsi reciprocamente è nata solo nella cristianità moderna ed è completamente estranea in quella antica. Sacerdote e popolo certamente non pregano l’uno verso l’altro, ma verso l’unico Signore. Quindi guardano nella preghiera nella stessa direzione: o verso Oriente come simbolo cosmico per il Signore che viene, o, dove questo non è possibile, verso un’immagine di Cristo nell’abside, verso una croce, o semplicemente verso il cielo, come il Signore ha fatto nella preghiera sacerdotale la sera prima della Passione (Gv 17, 1). Intanto si sta facendo strada sempre di più, fortunatamente, la proposta da me fatta alla fine del capitolo in questione della mia opera [Introduzione allo spirito della liturgia, pp.70-80]: non procedere a nuove trasformazioni, ma porre semplicemente la croce al centro dell’altare, verso la quale possano guardare insieme sacerdote e fedeli, per lasciarsi guidare in tal modo verso il Signore, che tutti insieme preghiamo”.

E non si dica che l’immagine del crocifisso viene a oscurare la vista dei fedeli in rapporto al celebrante. I fedeli non devono guardare al celebrante, in quel momento liturgico! Devono guardare al Signore! Come al Signore deve poter guardare anche colui che presiede la celebrazione. La croce non impedisce la vista; anzi, le apre l’orizzonte sul mondo di Dio, la porta a contemplare il mistero, la introduce in quel Cielo da cui proviene l’unica luce capace di dare senso alla vita di questa terra. La vista, in verità, rimarrebbe oscurata, impedita se gli occhi rimanessero fissi su ciò che è solo presenza dell’uomo e opera sua.

Così si comprende perché è ancora oggi possibile celebrare la Messa agli altari antichi, quando le particolari caratteristiche architettoniche e artistiche delle nostre chiese lo dovessero consigliare. Il Santo Padre ci dona anche in questo l’esempio quando celebra l’Eucaristia all’altare antico nella Cappella Sistina, per la festa del Battesimo del Signore.

Nel nostro tempo è entrata nel linguaggio abituale l’espressione “celebrazione verso il popolo” Se con tale espressione si intende descrivere l’aspetto topografico, dovuto al fatto che oggi, il sacerdote, a motivo della collocazione dell’altare, si trova spesso in posizione frontale rispetto all’assemblea, la si può accettare. Ma non la si potrebbe assolutamente accettare nel momento in cui venisse ad avere un contenuto teologico. Infatti, la Messa, teologicamente parlando, è sempre rivolta a Dio attraverso Cristo Signore e sarebbe un grave errore immaginare che l’orientamento principale dell’azione sacrificale fosse la comunità. Tale orientamento, dunque - quello al Signore –, deve animare l’interiore partecipazione liturgica di ciascuno. Ed è altrettanto importante che possa essere ben visibile anche nel segno liturgico.

 

Mons. Guido Marini

Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie

http://www.collationes.org

 

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