domenica 1 luglio 2012

Il sacrificio della messa

 

di don Claudio Crescimanno
articolo pubblicato su Il Timone n.38 (dicembre 2004)


Dopo le stupende parole dell'enciclica “Ecclesia de Eucharistia”, Giovanni Paolo II ci ha fatto un nuovo dono: l'Anno dell'Eucaristia. Quasi espansione nel tempo e nell'esperienza delle densissime pagine di quel documento, quest'anno deve costituire per la comunità cristiana la riscoperta e la valorizzazione della Eucaristia, nella quale «è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa» (Presbyterorum Ordinis, 5).

In realtà, la Presenza per eccellenza del nostro Salvatore in mezzo ai suoi discepoli, pellegrini sulla terra, è di per sé, costitutivamente, il centro e il cuore della vita della Chiesa e di ogni suo membro, ma il magistero del Pontefice, in continuità con quello dei suoi predecessori, non ha cessato di ribadirlo: «Da quando ho iniziato il mio ministero di successore di Pietro, ho sempre riservato al Giovedì Santo, giorno dell'Eucaristia e del Sacerdozio, un segno di particolare attenzione... Quest'anno desidero coinvolgere più pienamente l'intera Chiesa..: additando con nuova forza alla Chiesa la centralità dell'Eucaristia. Di essa la Chiesa vive. Di questo Pane vivo si nutre. Come non sentire il bisogno di esortare tutti a farne sempre rinnovata esperienza?» (Ecclesia de Eucharistia, 7).

Dunque non è superfluo ribadire ciò che parrebbe scontato: l'Eucaristia non è mai pienamente compresa, mai adeguatamente celebrata, mai sufficientemente accolta, poiché tutto il nostro studio, la nostra devozione, il nostro impegno, non possono colmare l'abisso che separa la creatura dal suo Signore, il finito dall'infinito. Gesù Cristo è l'irruzione del soprannaturale nel mondo; l'Eucaristia è il perpetuarsi di questa irruzione e il suo espandersi nello spazio e nel tempo: è la realtà per noi contemporaneamente più necessaria e più irraggiungibile.

Ripartiamo da qui, poiché «dando all'Eucaristia tutto il rilievo che essa merita... ci dimostriamo veramente consapevoli della grandezza di questo dono. Ci invita a questo una tradizione ininterrotta, che fin dai primi secoli ha visto la comunità cristiana vigile nella custodia di questo tesoro. Sospinta dall'amore, la Chiesa si preoccupa di trasmettere alle successive generazioni cristiane, senza perderne alcun frammento, la fede e la dottrina sul Mistero eucaristico» (Ecclesia de Eucharistia, 61).

La nozione di sacrificio

Fin dai primordi della storia, nel cuore di ogni uomo sorge naturale il sentimento religioso: egli si riconosce creatura e sente che tutto ciò che è, e tutto ciò che ha, non viene da lui, ma lo ha ricevuto in dono dal suo Creatore. Questo senso della propria piccolezza, il desiderio di esprimere a Dio la propria gratitudine e la necessità di ottenerne ancora i favori, vengono espressi mediante l'atto supremo della religione: il sacrificio.

Il sacrificio è l'offerta che si fa a Dio solo, per mezzo dell'apposito ministro, di una cosa sensibile, distruggendola o trasformandola, per riconoscere e testimoniare la suprema signoria di Dio su tutte le cose, ed esprimere così la nostra sottomissione a lui.

Proviamo ora a comprendere dettagliatamente questa definizione:

  • si offre a Dio una cosa sensibile (che può essere animata o inanimata), perché il sacrificio appartiene al culto esterno, pubblico, di Dio, e quindi richiede una realizzazione visibile;
  • può essere offerta solo a Dio, perché il sacrificio è propriamente atto di “latrìa”(adorazione), che può essere rivolto solo al Creatore;
  • viene offerta da un ministro apposito, perché occorre che Dio stesso lo abbia appositamente a ciò deputato, quale mediatore tra Dio e gli uomini, in quanto partecipe del sacerdozio di Cristo, unico mediatore;
  • la si offre distruggendola o trasformandola, perché sia sottratta alla sua natura e funzione terrena, e donata a Dio, quale espressione ed in sostituzione della vita stessa dell'offerente;
  • con questa offerta si riconosce e si testimonia la suprema signoria di Dio, perché questo è il fine del sacrificio: manifestare che tutto ciò che siamo e tutto ciò che abbiamo viene da Dio, e che a lui tutto è dovuto.

Il sacrificio del Calvario

Il sacrificio, in una qualche sua forma, è stato praticato da sempre presso tutti i popoli, come atto supremo della religione. Dio stesso comandò al popolo d'Israele di offrire sacrifici in suo onore.

Ma i sacrifici del tempio d'Israele erano un'immagine e una prefigurazione: Gesù Cristo, Figlio di Dio divenuto uomo, con la sua vita, ma soprattutto con la sua passione e morte, porta a compimento e supera infinitamente il naturale istinto religioso dell'uomo, abolisce il valore di tutti i sacrifici antichi e ne istituisce uno nuovo e perfetto nella sua stessa Persona, in quanto egli è:

  • il vero sacerdote sommo ed universale: infatti è Dio e uomo, quindi perfetto mediatore tra Dio e l'umanità;
  • la vera vittima sacrificale: infatti non offre a Dio un bene sensibile qualunque, ma offre se stesso, immolandosi al Padre, consumato nel fuoco dello Spirito, a beneficio nostro.

In questo modo si realizza un sacrificio di valore infinito, poiché infinita è la Persona del Verbo che si immola; e la sua oblazione costituisce la suprema, unica e definitiva azione di culto per mezzo della quale Cristo, in quanto capo e rappresentante di tutta l'umanità, compie un atto perfetto:

  • di adorazione e di lode alla divina Maestà;
  • di ringraziamento per tutti i doni divini elargiti all'uomo nell'opera della creazione e della redenzione;
  • di espiazione e di perdono per tutti i peccati commessi da tutti gli uomini in ogni tempo;
  • di intercessione per ottenere da Dio tutti i benefici materiali e spirituali necessari all'umanità.

L'intero mistero di Cristo, che si racchiude e si compendia nell'immolazione del Calvario, è dunque il centro e il cuore di tutta la storia umana e dell'intero universo creato. In questa immolazione si manifestano la grandezza e la misericordia di Dio, l'uomo è riconciliato con il suo Creatore, è reso partecipe della vita stessa della Trinità, e diviene coerede della gloria del Cielo.

La messa è il memoriale del sacrificio

Affinché la potenza e l'efficacia del sacrificio della Croce si estendesse a tutti i tempi e luoghi, e potesse raggiungere tutti gli uomini che lo accolgono, il nostro Salvatore, la vigilia della sua passione, ha anticipato nell'ultima Cena, nei segni del pane e del vino, ciò che l'indomani avrebbe vissuto nella sua carne e ha consegnato ai suoi discepoli il rito della nuova Alleanza: il pane e il vino sono invisibilmente, ma sostanzialmente convertiti nel suo Corpo e nel suo Sangue, e così egli è reso presente quale vittima immolata per la gloria di Dio e per la nostra salvezza. Questa conversione sostanziale del pane e del vino nel Corpo e Sangue del Verbo incarnato si chiama “transustanziazione”.

Quest'unico sacrificio, anticipato nel Cenacolo e realizzato cruentemente sul Calvario, viene misticamente ripresentato sull'altare nella messa, quando, al culmine della celebrazione, mediante il ministero del sacerdote, Cristo crocifisso e risorto, vivente glorioso in Cielo, si rende presente nelle apparenze del pane e del vino. Perciò ogni messa è il medesimo sacrificio della Croce, non moltiplicato, ma attualizzato, cioè reso presente con la sua potenza latreutica e salvifica in un determinato tempo e luogo: l'infinito amore di Gesù Cristo per il Padre, manifestato sul Calvario, e i meriti della sua passione, grazie ai quali noi siamo redenti, sono racchiusi in questo sacramento, e perciò da esso si irradia sull'intera umanità la potenza redentrice di Dio.

La nostra partecipazione al sacrificio

Il Sacrificio dell'Eucaristia è azione di Cristo sacerdote e pontefice, ma in essa il Salvatore si degna di associare a sé la sua Sposa immacolata, la Chiesa, così che questa oblazione divenga l'offerta dell'intero Corpo mistico, di Cristo Capo e di noi sue membra, per mezzo dell'apposito ministro: il Signore condivide con noi e mette nelle nostre mani l'immenso tesoro dei suoi meriti. Per questo nella celebrazione della messa anche noi, insieme al nostro Redentore:

  • eleviamo alla santissima Trinità un atto di adorazione e di lode infinito, immensamente più di quanto si innalzi a lui dall'intera creazione e da tutti gli Angeli e Santi del Cielo;
  • offriamo a Dio la passione di Cristo come se l'avessimo sofferta noi, il suo sangue come se l'avessimo versato noi, i suoi meriti come se fossero nostri;
  • offriamo a Dio la nostra vita, con le sue gioie e le sue sofferenze, e la vita di tutto il creato, in unione alla vita santa di Cristo, affinché la nostra sia conformata alla sua e divenga, in unione alla sua, un'offerta vivente a Dio gradita;
  • immergiamo noi stessi e l'intera creazione nel lavacro del Sangue di Cristo per ottenere il perdono di ogni colpa e l'effusione di ogni benedizione, per i vivi e per i defunti;
  • ci congiungiamo con un vincolo soprannaturale e strettissimo a tutti i fratelli che vivono in Cristo: alla Vergine Maria, agli Angeli e Santi del Cielo, alle anime che si purificano nel Purgatorio, ai fedeli pellegrini sulla terra, vicini e lontani, conosciuti e sconosciuti; in certo modo ci uniamo anche a tutti gli uomini di questo mondo, poiché per essi Cristo è morto, ed Egli li chiama a sé perché si lascino amare e salvare da lui, purificandosi nel suo Sangue;
  • invochiamo, pregustiamo e prepariamo il ritorno glorioso di Cristo, giudice e signore dell'universo, e l'instaurazione del suo regno di santità, nei cieli nuovi e nella terra nuova.

Il sacrificio diviene mensa

Nell'ultima Cena con i suoi discepoli, Gesù Cristo ha istituito questo sacramento in forma di cibo e di bevanda, cosi che il sacrificio fosse insieme anche un banchetto: il Signore immolato sull'altare nei segni del Pane e del Vino si offre come nutrimento spirituale per i suoi discepoli che degnamente lo ricevono, affinché essi siano trasformati in lui, e così si edifichi la Chiesa nell'unità e nell'amore.

Il nostro Salvatore non poteva farci un dono più grande di questo: infatti con la santa Comunione:

  • ci uniamo intimamente a Cristo, e si approfondisce e si rafforza sempre più la nostra amicizia con lui;
  • egli ci rende sempre più conformi a lui, affinché i suoi pensieri e i suoi desideri divengano anche i nostri;
  • si accrescono i vincoli del Corpo mistico, poiché unendoci a Cristo, che è il Capo, siamo sempre più uniti anche a tutta la compagine delle sue membra;
  • siamo purificati dalle scorie dei peccati della vita passata e fortificati contro le tentazioni future;
  • riceviamo il pegno e la garanzia della gloria del Cielo.

La partecipazione all'Eucaristica è il momento supremo della vita spirituale e richiede la più fervorosa preparazione. Per accostarsi degnamente e fruttuosamente a questa sacra mensa è necessario:

  • essere in stato di grazia: chi è consapevole di aver commesso colpa grave, deve premettere la confessione sacramentale; - prepararsi ad accogliere il Signore con l'attenzione e la devozione richieste da un così sublime Sacramento;
  • essere digiuni da almeno un'ora.

Se si ha compreso la grandezza e la bellezza del Sacrificio eucaristico, si comprende anche che la partecipazione ad esso è ben più che la semplice soddisfazione di un obbligo, il quale pure conserva tutto il suo valore; in realtà, è soprattutto la realizzazione di un'esigenza del nostro essere creature e figli di Dio, aspiranti all'unione con lui e bisognosi di salvezza.

Nella celebrazione della messa si compie la parola di Gesù: quando sarò innalzato sulla croce attirerò tutti a me.

 

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