mercoledì 20 giugno 2012

Relativismo, scientismo e senso comune




di Antonio Livi


Ho adeguatamente dimostrato, sulla scorta della filosofia del senso comune, la possibilità e la necessità della metafisica, intesa - secondo il suo senso originario, che è anche l’unico legittimo come "formalizzazione del senso comune” e pertanto come “scienza dell'intero"[1]. 


Questa tesi, che si contrappone alla deriva anti metafisica del neopositivismo e all’ambigua metafisica heideggeriana del Dasein (che si presenta come Überwindung della metafisica classica e finisce per limitarsi alla fenomenologia esistenziale della coscienza), ha, tra le molte possibili applicazioni di logica epistemica, anche la confutazione delle false ragioni (i “sofistici elenchi” dei quali parlava Aristotele) della cultura anti-metafisica oggi dominante. Il discorso che faccio ora è quindi interdisciplinare e comparativo, perché mette a confronto i dati (rigorosamente) scientifici della logica (nell’ambito della quale hanno valore di verità le asserzioni della filosofia del senso comune) con i dati (approssimativamente) scientifici della sociologia della conoscenza.

Parto dalla constatazione che, da un punto di vista sociologico, risulta prevalente, nella società occidentale contemporanea, quella cultura che si riconosce, da una parte, nella gnoseologia irrazionalistica dei filosofi che professano il “pensiero post-metafisico” o “pensiero debole”[2]; dall’altra, nell’epistemologia degli ideologi della scienza fisico-matematica, i cui risultati sono presentati come l’unica verità epistemicamente fondata. 



Per quanto attiene al primo riferimento – quello gnoseologico - , la cultura contemporanea risulta appiattita sull’ideologia che il papa Benedetto XVI denomina «dittatura del relativismo», mentre per quanto attiene al primo riferimento – quello epistemologico - , la cultura contemporanea risulta appiattita sull’ideologia dello ”scientismo”


Anche se nella cultura contemporanea è inutile cercare una coerenza di pensiero perché questa è un valore che nessuno apprezza e desidera possedere, una certa, superficiale coerenza si può intravvedere individuando uno dei pensatori del Novecento che è maggiormente responsabile della deriva ideologica contemporanea, sia sul versante del relativismo che su quello dello scientismo. Si tratta di Karl Raymond Popper, autore della Logik der wissenschaftlicher Forschung, il quale ha costruito la sua teoria epistemologica stabilendo tre principi che si susseguono logicamente: il primo è che l’unica verità che l’uomo di oggi può conseguire criticamente è la “scienza”, con la conseguente esclusione della metafisica dal novero del sapere scientifico (riduzionismo scientistico); il secondo è che la psicanalisi di Freud e l’economia politica di Marx non meritano la qualifica di vera scienza (riduzionismo fisico-matematico); il terzo, infine, è che anche gli asserti della scienza fisico-matematica sono verità solo provvisorie, in attesa di smentite (“falsificazione”) che verranno dall’esperienza (“fallibilismo epistemologico”). 


Ecco dunque un’espressone unitaria dell’ideologia dominante, dove il relativismo e lo scientismo sono dedotti dai medesimi principi metodologici. E il fallibilismo epistemologico di Popper non è indifferente ai problemi morali, religiosi e politici, anzi ha fatto sentire pesantemente la sua influenza in questi campi: da una parte, infatti, su Popper si basa attualmente l’ideologia del liberalismo laicistico, che proclama la necessità di bandire dalla vita democratica ogni “dogmatismo” (termine che designa non solo le certezze derivanti dalla fede nella rivelazione divina ma anche i principi morali fondamentali del diritto naturale, compresi nel senso comune) e attuare così la “open society”, nella quale tutti criticano tutti; dall’altra parte, su Popper si basa pure il fideismo cattolico, rappresentato in Italia da Dario Antiseri, il quale ritiene che la fede cristiana possa essere garantita solo dall’esclusione della metafisica e dall’adozione del fallibilismo epistemologico[3]. Che poi le teorie di Popper contengano insieme il relativismo e lo scientismo confermato dal fatto che il già citato Dario Antiseri condivide apertamente le posizioni di Gianni Vattimo, caposcuola del “pensiero debole”.

La critica del relativismo non richiede una particolare applicazione della filosofia del senso comune, perché ne è il risultato più immediato e incontrovertibile. Se è vero, come è innegabilmente vero, che tutti i soggetti pensanti hanno il possesso immediato e certo di alcune realtà evidenti, a partire dalle quali ogni soggetto procede alla ricerca di ulteriori certezze circa le realtà di fatto e alla formulazione di leggi generali mediante procedimenti discorsivi di tipo induttivo, allora non ha alcun senso affermare, come legge universale della conoscenza umana, che non ci sono certezze assolute ma tutto è relativo al tempo, al luogo e alle circostanze soggettive. La confutazione del relativismo, che è un’espressione moderna dello scetticismo di sempre, è in definitiva quella stessa di Agostino nel Contra Academicos : «si fallor sum», scriveva il santo vescovo di Ippona, mostrando come il dubbio – con il quale si vorrebbe togliere assolutezza a ogni possibile conoscenza – sia sempre qualcosa di derivato dalla certezza, che in questo caso è la seconda certezza del senso comune, ossia la presenza dell’io a se stesso come soggetto della conoscenza di qualsiasi realtà che si presenti come oggetto.


Più utile è soffermarsi a mostrare come la logica aletica – che ha come suo nucleo teoretico la filosofia del senso comune - possa rilevare la contraddizione intrinseca anche dello scientismo, che da una parte rifiuta e combatte la metafisica (e quindi nega la possibilità di un discorso scientifico sull'intero), e dall'altra pretende di stabilire come scientifiche proprio le sue affermazioni riguardo alla totalità dell'esperienza; in atri termini, gli scienziati e gli epistemologici che sostengono la tesi secondo la quale solo gli asserti fisico-matematici hanno un’adeguata giustificazione epistemica, fanno un discorso che è materialmente metafisico, anche se espresso con il linguaggio delle scienze "positive" o "particolari". 



Notiamo che per scienza "positiva" o "particolare" (che oggi comunemente è detta "scienza" per antonomasia), bisogna intendere «quel sapere specificato dalla posizione di leggi e modelli operativi il cui significato non è di esprimere la verità dell'uomo e del mondo come manifestazione incontrovertibile di ciò che è originario ed ultimo, ma soltanto costruire delle "tecniche teoriche" convergenti verso una lettura sempre più formalizzata dell'esperienza, il contenuto della quale è conservato solo nella forma della generalizzazione che non esprime alcuna necessità assoluta e originaria»[4]. 


Siccome il senso comune rientra nell’area ontologica dell’esperienza - anche se la nozione di esperienza è più generica e anche più relativa, più soggettiva -, occorre notare quanto sia distante dalla qualità del senso comune (che è universale e veritativo per essenza) una conoscenza, come quella scientifico-positiva, che assume l'esperienza senza considerarne i caratteri di necessità assoluta e originaria. 


Ma può l'uomo accontentarsi di tale formalizzazione e di tale depauperamento dell'esperienza? Può l'uomo rinunciare all'ermeneutica dell'esperienza, proprio nella sua assolutezza e originarietà? Può l'uomo mirare solo alla conoscenza "tecnica" o "pragmatica", nel senso che dianzi vedevamo? 


Evidentemente no, visto che il fenomeno ideologico dello scientismo si è verificato di pari passo con lo sviluppo delle scienze e della tecnica. Difatti, «può accadere che la scienza si rivesta di valore assoluto e pretenda ad una interpretazione globale della realtà e dell'uomo. È il momento in cui la scienza cade in una formale estrapolazione, e, volendo assurgere a filosofia, cessa di essere scienza e si risolve in Weltanschauung. Accade in tal caso esattamente l'opposto di quello che dovrebbe, dal momento che l'ambiguità della Weltanschauung e dell'ideologia può essere superata, o assorbendola in una problematica di ordine scientifico, o, in quello che ha di meta-scientifico, in un orizzonte autenticamente filosofico»[5]. 


L'autore di queste osservazioni aveva in precedenza definito la Weltanschauung come «concezione totalizzante dell'uomo e della realtà, nella quale viene data forma universale ed originaria a ciò che tale non è. È una concezione del mondo che trova giustificazione solo in motivazioni di ordine psicologico, culturale, storico, naturale ecc.; condizionamenti tali che, proprio perche derivati e distaccati da ciò che è originario, non possono esprimere il contenuto di verità di una concezione universale, assoluta, cioè filosofica. 
La Weltanschauung è, in fondo, l'elevazione a filosofico di ciò che filosofico non è»[6], passando poi a definire l'ideologia, aveva scritto che essa va intesa come «apparato concettuale che esprime in forma universale quelli che sono, in effetti, i bisogni, le aspirazioni, i fini economici, sociali, politici che un gruppo intende soddisfare. Nell'ideologia si ripete la frattura tra forma e contenuto tipica della Weltanschauung, che non è altro che la contraddizione tra la forma della verità e il contenuto non veritativo di essa»[7]. 
Unico "contenuto veritativo" capace di ricevere una "forma di verità" con rigore scientifico è infatti, per la totalità dell'esperienza, solo il senso comune. Lo scientismo contraddice il senso comune, e il suo dogmatismo è una vuota "forma di verità" senza corrispettivo di esperienza. Se esso genera una "visione del mondo" di tipo, appunto, scientistico, è il rigore metodologico delle scienze - la loro logica - a smentire questa visione nella dimensione del problema di una metafisica del Dasein»[8].

In altri termini, la filosofia - come conoscenza scientifica dell'intero che presuppone la percezione dell'intero da parte del senso comune - può e deve tener conto degli altri approcci scientifici al mondo dell'esperienza, anche se sono approcci limitati per oggetto e per metodo, com'è il caso delle scienze particolari; non può invece e non deve tener conto dell'ideologia, falso surrogato della filosofia stessa, sia pure con pretese di scienza universale e progressiva com'è l'ideologia dello scientismo.


Lo scientismo come ideologia si basa su alcuni postulati acriticamente assunti, quali sono soprattutto la considerazione della matematica come unico linguaggio possibile della conoscenza certa, e poi la dimensione prassistica (tecnologica o politica) della conoscenza. Il primo postulato caratterizza lo scientismo classico, che procede di pari passo con la filosofia cartesiana e sfocia alla fine nel positivismo di Auguste Comte; il secondo postulato è invece caratteristico dello scientismo contemporaneo, che si ispira a Karl Marx, a Sigmund Freud, a Friedrich Nietzsche, a Rudolf Carnap e alla linguistica strutturale.


A proposito del linguaggio matematico la valenza tecnologica delle conoscenze scientifiche che oggi possediamo e che cresce sempre più di importanza ai nostri occhi, non può non influenzare anche la cultura, e la influenza in modo che è contemporaneamente sottile e pesante. Anzitutto, il prestigio delle scienze viene esteso anche ai criteri di certezza che queste adottano, il che fa dimenticare altri criteri di certezza, altri campi di ricerca nei quali i metodi della scienza propriamente sperimentale e fisico-matematica non hanno applicazione.



 In secondo luogo, il successo della tecnica - strettamente collegata alle scienze - crea l'ebbrezza del dominio delle cose e necessariamente si impone, facendo sì che il campo degli interessi si sposti dalla costruzione dell'uomo "interiore" alla esteriore costruzione del mondo da parte dell'uomo: economia, politica... L'ideologia dello scientismo è alla base dei miti dell'umanità "nuova", dell'ordine "nuovo", insomma di miti politici della "rivoluzione" come creazione nuova del mondo da parte dell'uomo ormai onnipotente [9].

La fenomenologia storica delle teorie politico-economiche ha mostrato a sufficienza, ai nostri giorni, l'esistenza di un senso comune che coglie l'armonia o la disarmonia di tali teorie con i propri principi, riaffermandoli con adesioni fanatiche di tipo irrazionalistico (denuncia indiretta dell'irrazionalità costitutiva della teoria) o con tutta la gamma del consenso e della critica: sempre, in ogni caso, c'è chi parla di una scienza assoluta che ignora di proposito la filosofia, o la vorrebbe superare dialetticamente[10], e chi parla invece di una filosofia surrettizia, falsa, che va smascherata e contraddetta, in nome di una filosofia (vera) dell'economia e della società civile[11]. In realtà, come è evidente, non di filosofia si tratta, bensì di senso comune.


Dicevo che il secondo postulato dello scientismo è quello prassistico. La connessione che oggi si osserva tra conoscenza scientifica e manipolazione non trova corrispettivo presso i classici e i medioevali. Non si è lontani dal vero se si dice che per loro la scienza (fisica) era soprattutto sapienza, cioè contemplazione delle leggi della natura, mentre la tecnica era principalmente frutto di un'invenzione artigianale, di una ingegnosità che si appoggiava sull'intelligenza e sull'inventiva; il fine della ricerca non era applicare metodicamente le nuove conoscenze scientifiche, come invece oggi avviene. 


La novità sta nella logica che ispira lo sviluppo delle scienze moderne: quella che era una volta contemplazione pura, occasione di gioia e di atteggiamento religioso, è diventata una specie di erinni inquieta, tesa alla ricerca delle leggi di funzionamento del cosmo, della vita sociale, della psiche e della genetica, con lo scopo dichiarato di sfruttare la natura, dominare la società, manipolare l'uomo.

Proprio per quella logica che si rifà alla tecnica si può dire che la ragione scientifica abbia assunto contorni peculiari, differenziandosi dalla ragione filosofica. Infatti, come abbiamo detto, la limitatezza dell'oggetto proprio delle scienze ("parte" o aspetti della realtà, e non la totalità) ha permesso la creazione di un novum organon basato sul calcolo matematico e su sofisticate tecniche di indagine. Questa forma di ragione - che Heidegger chiama "pensare calcolante" (rechnendes Denken) - è di carattere parziale e analitico: scompone e ricompone le parti, elaborando le sue teorie non tanto in funzione della verità quanto in funzione delle applicazioni tecniche. Lo scopo di questa forma di ragione è il "fare" e il "potere": «Conoscere è potere», diceva con profetica sentenza Bacone, cui fa eco Descartes[12]. È la ragione del homo faber, mosso dal technischer Eros[13]. Ma si può davvero dire che, oggi, essa è l'unica forma di ragione ad aver diritto di cittadinanza nel mondo moderno?


La "natura" è diventata concetto plastico, concetto di un materiale tecnico che il pensiero scientifico modifica, progetta, sposta in avanti. La stessa verità (la greca aletheia) non è più un trascendentale dell'essere; come la natura, essa pure è considerata nel senso prospettico del verificabile come fattibile. La verità, che per il greco era l'essere stesso, e dunque la cosa più forte, non ha una sua forza; semmai è la forza delle tecniche (in generale, e di quelle della propaganda e della persuasione in particolare) che la costruiscono e via via la impongono alle masse. Sicché per lo scientismo conta non il vero ma il "tener per vero" (fürvahrhalten), e quindi quel tipo di ragione che ottiene di far "ritenere per vero"[14].


Jacques Maritain, a questo proposito, ha osservato che c'è una connessione chiaramente ideologica tra matematismo e prassismo tecnologico o politico, una connessione che rivela l'anima atea, e pertanto magica, dello scientismo: «Ricorrendo all'intelligibilità matematica come mezzo privilegiato di interpretazione dei fenomeni, le scienze totalmente matematizzate e quelle più matematizzate traducono o traspongono l'osservato (il reale osservato) in segni o simboli (sistemi particolari di equazioni, o teorie d'insieme come la relatività), caratteristici del tipo di intelligibilità della matematica e intelligibili solo matematicamente [ ...]. Tali scienze signoreggiano la materia (e in modo davvero stupefacente), ma trattandola come una realtà sconosciuta sulla quale si interviene per mezzo di segni: il che apparenta in certo modo queste scienze modernissime con l'antica magia»[15]. 



La magia, che è pseudo-religione, è dunque la segreta ispirazione dello scientismo, che è pseudo-metafisica. Proprio per questo, l'inarrestabile declino dello scientismo cui assistiamo negli ultimi anni è accompagnato da una sempre più attenta considerazione della metafisica, e anche della religione[16]. E, non a caso, la più recente opera di Leszek Kolakowski - una denuncia dello scientismo e dell'ideologia, soprattutto del marxismo, che il filosofo polacco prima professava - si intitola Orrore metafisico ( tr .it., Il Mulino, Bologna 1990) e propugna il recupero di un pensiero "forte", che renda «intelligibile l'universo nella sua totalità», sulla base di «una realtà auto-fondata» che ne renda ragione (p. 123), cioè Dio.

Antonio Livi


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[1] Cfr Antonio Livi, Filosofia del senso comune. Logica della scienza e della fede, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2010; Idem, Metafisica e senso comune, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2010.

[2] Cfr Antonio Livi, Forme dell’irrazionalismo contemporaneo, in Idem, Storia sociale della filosofia, vol. III, tomo 2: Il Novecento, Società Editrice Dante Alighieri, Roma 2002, pp. 234-256..
[3] Cfr Dario Antiseri, Perché la metafisica è necessaria per la scienza e dannosa per la fede, Queriniana, Brescia 1980; Idem, Cristiano perché “relativista”; “relativista” perché cristiano, con una replica di Rino Fisichella e una lettera di Sergio Galvan, Rubbettino, Soveria Mandelli 2003.

[4] Enrico Nicoletti, «Marxismo del ventesimo secolo», in Cultura e politica, n. 10-11 (1969), p. 30.

[5] Enrico Nicoletti, «Marxismo del ventesimo secolo», pp. 30-31.
[6] Enrico Nicoletti, «Marxismo del ventesimo secolo», p. 30. Su questo argomento sono celebri le pagine di Edmund Husserl, Philosophie als strenge Wissenschaft, Klostermann Verlag, Frankfurt am Main 1965, pp. 49-53; si veda anche Franco Crespi, Ideologia e produzione di senso nella società contemporanea, Franco Angeli, Milano 1988.

[7] Enrico Nicoletti, p. 30.

[8] Martin Heidegger, Kant und das Problem der Metaphysik, Klostermann Verlag. Frankfurt am Main 1951, p. 214.

[9] Molti autori contemporanei hanno individuato in questa ideologia una nuova forma della gnosi antica: cfr Emanuele Samek Lodovici, Metamorfosi della gnosi (Quadri della dissoluzione contemporanea), Edizioni Ares, Milano 1978; Pier Paolo Ottonello. Strutture e forme del nichilismo europeo (Saggi introduttivi), Japadre Editore, L'Aquila 1988.

[10] È il caso del marxismo di Louis Althusser negli anni Settanta; si veda Antonio Livi, L. Althusser, Emesa, Madrid 1982

[11] «La domination de I'homme par I'homme implique I'atheisme et à tout le moins I'antihumanisme. C'est dire que la realite economique amputee de sa finalite suppose une philosophie qui n'ose pas son nome. Le scientisme est une philosophie, mais qui conduit I'humanite à I'esclavage coherent ou diffus. Djilas l'a montre pour le communisme, de nombreux auteurs pour I'americanisme [...]. Ces analyses font toucher du doigt le drame de la separation entre la science et la philosophie, entre l'economie, où presque toutes les sciences, presque toutes les techniques confluent, et la morale" (Marcel de Corte, «Nécessité d'une philosophie de l'économie», in La table ronde, n. 136 [1959], p. 28).

[12] Si vedano, tra gli altri: Jürgen Habermas, Technik und Wissenschaft als "Ideologie", Meiner Verlag, Frankfurt am main 1968; Jacques Ellul, La technique ou l'enjoeu du siècle, Colin, Paris 1954; Victor Ferkiss, Technological Man: the Myth and the Reality, Heinemann, London 1969. Su "teoria" in contrapposizione a "prassi", si veda: Nicolas Lobkowicz, Theory and practice. History of a concept from Aristotle to Marx, University of Notre-Dame Press, Notre-Dame (Indiana) 1961.

[13] Il termine "Eros della tecnica" è coniato da JACOB HOMMES in un denso saggio sul marxismo che proprio così si intitola: Der technischer Eros, Herder, Freiburg 1954.

[14] Si veda soprattutto Sergio Cotta, La sfida tecnologica, Il Mulino, Bologna 1968; oltre allo studio del Cotta, che affronta la questione nell'ottica filosofico-giuridica e sociale, si può utilmente consultare l'analisi epistemologica di Robert Bubner, Azione, linguaggio e ragione (l concetti fondamentali della filosofia pratica), tr. it., Il Mulino, Bologna 1985, pp. 64-79. Ovviamente, il punto di riferimento obbligato di ogni critica dello scientismo tecnologico è l'opera di Heidegger (cfr, soprattutto, il saggio intitolato Die Frage nach Technik, del 1951).

[15] Jacques Maritain, Le paysan de la Garonne, Desclee de Brouwer, Paris 1965, p. 400.

[16] Si veda in proposito; Antonio Livi, Lo scientismo come pseudo-metafisica, in AA. W., Scienza, filosofia, fede ("Cultura & libri", n. 52), Ediun. Roma 1990. pp. 21-27; si veda anche l'aggiornato studio di Antonio Pieretti, Oltre la razionalità scientifica, in AA. VV., I compiti della ragione nella società tecnologica ("Per la filosofia", n. 16), Massimo, Milano 1989, pp. 15-22. Utile anche la consultazione dell'opera di AA. W. (tra i quali François Russo, Georges Cottier e Jean Ladrière), Science et foi, Desclée, Paris 1982; si veda infine l'opera di Peter B. Medawar (premio Nobel per la medicina), The Limits of Science, Harper and Row, New York1984.





Fonte: Newsletter per un pensiero forte di A. Biagioni 




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