mercoledì 20 giugno 2012

L’incapacità di aspettare, ovvero l’impotenza dello spirito






di Carlo Maria Barile

 E’ sempre più aberrante la frenesia della vita quotidiana, frenesia alla quale siamo sempre più piegati, della quale siamo sempre più succubi; essa molto spesso non è neanche da noi desiderata, ma costituisce un problema, le cui ricadute sono gravi e ben presenti.

Non esiste più il tempo per pensare, per ragionare, per meditare: camminando si lavora, oppure si è al telefono, demandando alla sera ogni possibile riflessione interiore, puntualmente annullata dal sonno che piomba sovrano; insomma, ciò che ci hanno insegnato i Peripatetici va direttamente “a farsi friggere”. Tale interminabile corsa è viva anche nei ritmi della vita, siano essi esteriori ed estetici che interiori e fisici o etici.

 Uno dei risultati più raccapriccianti di tutto ciò, anche se apparentemente potrebbe non notarsi alcuna connessione logica, è che non si sa più nemmeno ascoltare. Spiegherò tale tesi ponendo una domanda: se noi non abbiamo più il tempo letteralmente di respirare, come possiamo pretendere che anche in musica si respiri, sia suonando che ascoltando?

E’ questo uno dei motivi per cui la musica sacra è decaduta, piombando in un baratro profondo e difficile da percorrere in senso inverso: nel Canto Gregoriano, nel quale testo e suono sono impossibili da scindere, la costruzione segue la frase e la frase, guarda caso, il respiro, per altro indicato in notazione con segni grafici talmente chiari da suggerirne persino la durata. Niente di più facile di eseguire magistralmente un’antifona gregoriana e sentire commenti che stigmatizzino la lentezza o, per usare parole rudi come coloro che le pensano, la “pesantezza” di questa musica.

Esiste un motivo se al giorno d’oggi non si è nemmeno più in grado di fermarsi e inginocchiarsi in una chiesa, esiste un motivo se durante la Messa squilla il telefono e si abbandona Cristo per rispondere, come se Colui che è morto in croce per salvarci fosse un qualunque signor nessuno. La vera crisi di cui oggi fin troppo si sente parlare, a volte in maniera anche banale, risiede nella scissione – probabilmente dovuta alle tecnologie non connaturate all’essere primigenio del genere umano – dei nostri due elementi fondamentali: quello fisico e quello spirituale.

Un corpo che corre troppo soverchia uno spirito che ha bisogno di elaborare; un musicista che, improvvisando un brano, lascia che la velocità con cui suona superi quella con cui elabora, sbaglia; un uomo che non sa nemmeno più inginocchiarsi e spendere per la sua anima il tempo giusto da dedicare allo spirito non sa più pregare, non sa più ascoltare, non sa più vivere e probabilmente (dati i suicidi sempre più frequenti) non sa neanche più morire.

Fonte: Scuola Ecclesia Mater  19 giugno 2012


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