sabato 2 giugno 2012

Il peccato e la legge morale








Domanda:
Ad una persona che non crede, il fatto di peccare crea comunque una forma di rimorso che caratterizza la differenza fra gli uomini (razionalità) e la loro natura animale (istinto). Questo sentimento porta quasi involontariamente a seguire i comandamenti. Si potrebbe pensare dunque che ognuno di noi in fondo e un po’ cristiano anche se non crede?


Risposta:
Nella domanda c’è una certa confusione insieme alla constatazione di una verità importante.
Tanto per cominciare il peccato non è un problema “istintuale”. Gli istinti possono spingerci a peccare, questo è vero, ma il peccato implica sempre una scelta morale che è frutto di una deliberazione che mette in gioco l’intelligenza, la ragione e la volontà.
Non si pecca per istinto, si pecca perché si vuole fare del male, perché scegliamo di andare contro l’ordine morale inscritto anche nella nostra coscienza.
Gli animali che vivono in una dimensione realmente istintuale non peccano in alcun modo. Non possono peccare perché i loro atti non sono imputabili, mancando in loro l’essere personale libero, intelligente e auto-cosciente. Anche l’uomo, se è quando agisce in modo puramente istintivo non pecca, e anche la legge civile – quando la cosa è dimostrabile – non gli imputa alcun reato. È il caso, per esempio, della legittima difesa. Colui che, accecato dalla paura, apre istintivamente il fuoco sul suo aggressore uccidendolo, non può essere definito assassino e quindi non può essere condannato.
La legge morale non è una sovrapposizione alla struttura antropologica (struttura intrinseca dell’uomo), ma risponde alle esigenze più profonde dell’uomo e della ragione. Ecco perché anche un non credente, un ateo, soprattutto se libero da condizionamenti ideologici, è sensibile alla voce della coscienza che risponde alla legge morale naturale. Potrà non esserci una corrispondenza piena, potranno esserci anche tante contraddizioni, ma mai un’insensibilità radicale. La morale cristiana risponde alla morale naturale, integrandola, esplicandola e – in ultima analisi – perfezionandola. In ognuno di noi in fondo risplende la luce insopprimibile della verità, ed è una luce che chiede di essere rispettata:
«In realtà l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.
Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen»
(Rm 1,18-25).
Domanda:
Perché esistono persone che commettono azioni orribili senza poi provare alcun rimorso?


Risposta:
La legge morale è già stato evidenziato nella precedente domanda.
Questo discorso però è tanto più vero quanto più l’uomo è libero da condizionamenti ideologici o di altro genere che ne oscurino la coscienza: una coscienza naturalmente sensibile alla verità morale ma che può essere gravemente compromessa. Una coscienza infatti può essere erronea ma – a seguito della malizia deliberata – può degenerare anche in coscienza falsa. Una coscienza falsa è tale perché in essa l’ordine della verità è più o meno gravemente pervertito. A questo stato di cose dunque non ci si arriva per un “incidente di percorso” ma per una serie di scelte libere e perseguite con ostinazione. Una coscienza così diventa capace di chiamare bene il male… e male il bene (Is 5,20). Ecco perché purtroppo è possibile compiere le azioni più efferate senza provare neppure il minimo rimorso.
Contro queste persone la Scrittura pronuncia una condanna durissima:
«Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro. Guai a coloro che si credono sapienti e si reputano intelligenti. Guai a coloro che sono gagliardi nel bere vino, valorosi nel mescere bevande inebrianti, a coloro che assolvono per regali un colpevole e privano del suo diritto l’innocente. Perciò, come una lingua di fuoco divora la stoppia e una fiamma consuma la paglia, così le loro radici diventeranno un marciume e la loro fioritura volerà via come polvere, perché hanno rigettato la legge del Signore degli eserciti, hanno disprezzato la parola del Santo di Israele» (Is 5,20-24).
Se il libro del profeta Isaia ne pronuncia la condanna, il libro della Sapienza mette in evidenza l’esito della loro vita; una vita dove purtroppo il pentimento umile e sincero rischia di non trovare più spazio alcuno:
«Abbiamo dunque deviato dal cammino della verità; la luce della giustizia non è brillata per noi, né mai per noi si è alzato il sole. Ci siamo saziati nelle vie del male e della perdizione; abbiamo percorso deserti impraticabili, ma non abbiamo conosciuto la via del Signore. Che cosa ci ha giovato la nostra superbia? Che cosa ci ha portato la ricchezza con la spavalderia? Tutto questo è passato come ombra e come notizia fugace, come una nave che solca l’onda agitata, del cui passaggio non si può trovare traccia, né scia della sua carena sui flutti; oppure come un uccello che vola per l’aria e non si trova alcun segno della sua corsa, poiché l’aria leggera, percossa dal tocco delle penne e divisa dall’impeto vigoroso, è attraversata dalle ali in movimento, ma dopo non si trova segno del suo passaggio; o come quando, scoccata una freccia al bersaglio, l’aria si divide e ritorna subito su se stessa e così non si può distinguere il suo tragitto: così anche noi, appena nati, siamo già scomparsi, non abbiamo avuto alcun segno di virtù da mostrare; siamo stati consumati nella nostra malvagità”. La speranza dell’empio è come pula portata dal vento, come schiuma leggera sospinta dalla tempesta, come fumo dal vento è dispersa, si dilegua come il ricordo dell’ospite di un sol giorno» (Sap 5,6-14).
Il Cappellano





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