sabato 5 maggio 2012

"Per molti" o "per tutti"? La risposta giusta è la prima





Lo scrive Benedetto XVI ai vescovi tedeschi. E vuole che in tutta la Chiesa si rispettino le parole di Gesù nell'ultima cena, senza inventarne altre come nei messali postconciliari. 







di Sandro Magister

CITTÀ DEL VATICANO, 3 maggio 2012 – Le Chiese di varie nazioni del mondo stanno ripristinando l'una dopo l'altra, nella messa, le parole della consacrazione del calice riprese testualmente dai Vangeli e in uso per secoli, ma nei decenni scorsi sostituite quasi ovunque da una diversa traduzione.

Mentre il testo tradizionale nella sua versione base in latino dice tuttora: "Hic est enim calix sanguinis mei […] qui pro vobis et pro multis effundetur", le nuove versioni postconciliari hanno letto nel "pro multis" un immaginario "pro omnibus". E invece di "per molti" hanno tradotto "per tutti".

Già nell'ultima fase del pontificato di Giovanni Paolo II si era tentato, da parte di alcuni, pochi, dirigenti vaticani, tra i quali Joseph Ratzinger, di far rivivere nelle traduzioni la fedeltà al "pro multis". Ma con nessun successo.

Benedetto XVI ha preso in pugno personalmente la questione. Ne è prova ultima la lettera che egli ha scritto lo scorso 14 aprile ai vescovi della Germania.
In essa, Benedetto XVI riassume i passaggi principali della controversia, per meglio motivare la sua decisione di ripristinare una corretta traduzione del "pro multis".

Ma per capire più a fondo il contesto, è utile richiamare qui alcuni elementi.

Anzitutto, con l'indirizzare la sua lettera ai vescovi della Germania, Benedetto XVI vuole rivolgersi, tramite loro, anche ai vescovi delle altre regioni germanofone: l'Austria, i cantoni tedeschi in Svizzera, il Sudtirolo in Italia.

Se in Germania, infatti, pur con forti resistenze, la conferenza episcopale ha recentemente optato per tradurre il "pro multis" non più con "für alle", per tutti, ma con "für viele", per molti, in Austria non è così.

E in Italia nemmeno. Nel novembre del 2010, in una votazione, su 187 vescovi votanti soltanto 11 si schierarono per il "per molti". A favore del "per tutti" votò una maggioranza schiacciante, incurante delle indicazioni vaticane. Poco prima, anche le conferenze episcopali delle sedici regioni ecclesiastiche italiane, con la sola eccezione della Liguria, si erano pronunciate per il mantenimento della formula "per tutti".

In altre parti del mondo si sta tornando all'uso del "per molti": in America latina, in Spagna, in Ungheria, negli Stati Uniti. Spesso con contestazioni e disobbedienze.

Ma è evidente che, su questo, Benedetto XVI vuole andare fino in fondo. Senza imposizioni, ma esortando i vescovi a preparare il clero e i fedeli, con un'appropriata catechesi, a un cambiamento che dovrà comunque arrivare.

Dopo questa lettera, è quindi facile prevedere che anche nelle messe celebrate in Italia sarà ripristinato il "per molti", nonostante il voto contrario dei vescovi nel 2010.

La nuova versione del messale, approvata dalla conferenza episcopale italiana, è attualmente all'esame della congregazione vaticana per il culto divino. E su questo punto sarà sicuramente corretta secondo le indicazioni del papa.

Una seconda annotazione riguarda i continui ostacoli che il ripristino di una corretta traduzione del "pro multis" ha incontrato sulla sua strada.

Fino al 2001, i fautori di traduzioni più “libere” dei testi liturgici si appellavano a un documento confezionato nel 1969 dal "Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia" di cui era segretario monsignor Annibale Bugnini, un documento non firmato e insolitamente redatto in francese, usualmente citato con le sue prime parole: "Comme le prévoit".

Nel 2001, la congregazione per il culto divino pubblicò un'istruzione, "Liturgiam authenticam", per la retta applicazione della riforma liturgica conciliare. Il testo, datato 28 marzo, era firmato dal cardinale prefetto Jorge Arturo Medina Estevez e dall’arcivescovo segretario Francesco Pio Tamburrino, ed era stato approvato da Giovanni Paolo II in un'udienza concessa otto giorni prima al cardinale segretario di Stato Angelo Sodano.

Ricordando che il rito romano "ha uno stile e una struttura proprie che vanno rispettate in quanto possibile anche per le traduzioni", l'istruzione raccomandava una traduzione dei testi liturgici che fosse espressione "non tanto di esercizio di una creatività, quanto di cura per la fedeltà e l'esattezza nella resa dei testi latini in lingua vernacolare". Le buone traduzioni – prescriveva il documento – "devono essere svincolate da ogni esagerata dipendenza da modi espressivi moderni e, in generale, da una lingua di tono psicologizzante".

L'istruzione "Liturgiam authenticam" neppure citava il "Comme le prévoit". Ed era un'omissione voluta, per togliere definitivamente a quel testo un'autorità e una ufficialità che non aveva mai avuto.

Ma nonostante ciò, l'istruzione incontrò una resistenza fortissima, anche all'interno della curia romana, tanto da essere perfino ignorata e contraddetta da due successivi documenti pontifici.

Il primo è l'enciclica di Giovanni Paolo II “Ecclesia de Eucharistia” del 2003. Nel suo paragrafo 2, là dove si richiamano le parole di Gesù per la consacrazione del vino, si legge: "Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati (cfr Mc 14, 24; Lc 22, 20; 1 Cor 11, 25)". Il "per tutti" è lì una variazione che non ha alcuna rispondenza nei testi biblici citati, evidentemente introdotta orecchiando le traduzioni presenti nei messali postconciliari.

Il secondo documento è l'ultima delle lettere che Giovanni Paolo II usava indirizzare ai sacerdoti ogni giovedì santo. Era datata Policlinico Gemelli, 13 marzo 2005, e al quarto paragrafo diceva:

"'Hoc est enim corpus meum quod pro vobis tradetur'. Il corpo e il sangue di Cristo sono dati per la salvezza dell'uomo, di tutto l'uomo e di tutti gli uomini. È una salvezza integrale e al tempo stesso universale, perché non c'è uomo che, a meno di un libero atto di rifiuto, sia escluso dalla potenza salvifica del sangue di Cristo: 'qui pro vobis et pro multis effundetur'. Si tratta di un sacrificio offerto per 'molti', come recita il testo biblico (Mc 14, 24; Mt 26, 28; cfr Is 53, 11-12) con una tipica espressione semitica che, mentre indica la moltitudine raggiunta dalla salvezza operata dall'unico Cristo, implica al tempo stesso la totalità degli esseri umani ai quali essa è offerta: è sangue 'versato per voi e per tutti', come in alcune traduzioni legittimamente si esplicita. La carne di Cristo è infatti data 'per la vita del mondo' (Gv 6,51; cfr 1 Gv 2,2)".

Giovanni Paolo II aveva la vita appesa a un filo, sarebbe morto di lì a una ventina di giorni. Ed è a un Papa in queste condizioni, senza neppure più la forza di leggere, che fu fatto firmare un documento a favore della formula "per tutti".

Alla congregazione per la dottrina della fede, al quale quel testo non era stato previamente sottoposto, la cosa fu notata con disappunto. Tant'è vero che pochi giorni dopo, il 21 marzo, lunedì santo, in una burrascosa riunione dei capi di alcuni dicasteri della curia, il cardinale Ratzinger fece le sue rimostranze.

E meno di un mese dopo lo stesso Ratzinger fu eletto Papa. Annunciato al mondo con visibile soddisfazione dal cardinale protodiacono Medina, lo stesso che aveva firmato l'istruzione "Liturgiam authenticam".

Con Benedetto XVI papa, il ripristino di una corretta traduzione del "pro multis" divenne da subito un obiettivo della sua "riforma della riforma", in campo liturgico.

Egli sapeva che avrebbe incontrato tenaci opposizioni. Ma in questo campo non ha mai temuto di prendere decisioni anche forti, come prova il motu proprio "Summorum pontificum" del 2007 per la liberalizzazione della messa in rito antico.

Un dato di grande interesse è la modalità con cui Benedetto XVI vuol mettere in atto le sue decisioni. Non esclusivamente con ordini perentori, ma tramite convincimento.

Tre mesi dopo l'elezione a papa fece compiere dalla congregazione per il culto, allora presieduta dal cardinale Francis Arinze, un sondaggio tra le conferenze episcopali, per conoscere il loro parere circa la traduzione del "pro multis" con "per molti".

Avuti questi pareri, il 17 ottobre del 2006, su indicazione del Papa, il cardinale Arinze inviò una lettera circolare a tutte le conferenze episcopali elencando sei ragioni a favore del "per molti" ed esortandole – laddove la formula "per tutti" fosse in uso – ad "intraprendere la necessaria catechesi dei fedeli" in vista del cambiamento.

È la catechesi che Benedetto XVI suggerisce di fare senza indugio in Germania, nella lettera da lui inviata ai vescovi tedeschi lo scorso 14 aprile. Facendo notare che non gli risulta che questa iniziativa pastorale autorevolmente suggerita sei anni fa sia mai stata avviata.

Due note a margine del testo papale: 1) Il "Gotteslob" è il libro comune di inni e preghiere in uso nelle diocesi cattoliche di lingua tedesca. 2) La citazione "Siano rese grazie al Signore che, per la sua grazia, mi ha chiamato nella sua Chiesa..." è l'ultimo verso della prima strofa di un canto ricorrente nelle chiese tedesche: "Fest soll mein Taufbund immer stehen".


chiesa.espressonline.it   3 maggio 2012

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