martedì 17 aprile 2012

L'unità di tempo nella Liturgia

Pubblichiamo una riflessione sulla liturgia tratta da Traditio Liturgica






Quanto sto per scrivere prosegue il discorso fatto fino ad ora. Sono analisi elementari ma che paiono totalmente dimenticate nel nostro contesto attuale.

Per essere molto chiaro faccio un esempio assai semplice.

Immaginiamo d'essere in un teatro mentre si sta eseguendo un'opera o mentre si sta eseguendo un concerto.

Il direttore d'orchestra sta dirigendo l'insieme degli strumenti, la cui musica crea nel nostro animo molte sensazioni.

Ad un certo punto, dalla platea, suona un telefonino.

Il direttore, innervosito, interrompe l'esecuzione, si volge agli astanti e li invita calorosamente a spegnere tutti i cellulari con voce visibilmente irritata.

Cos'è stato peggio? Che sia squillato un cellulare o che l'orchestra sia stata obbligata a fermarsi?

Non ci sono dubbi che il peggio è rappresentato dal secondo caso e, credo, che tutto ciò sia chiaro a tutti.

L'interruzione della musica ha, in un certo qual modo, spento il paesaggio di sensazioni che si stava dipingendo nell'animo umano, è stato un evento paragonabile ad uno sfregio nella tela di un dipinto. Come lo sfregio su una tela, quest'interruzione ha segnato con un non so che di violento l'animo di chi stava fruendo il concerto obbligandolo a distrarsi.

Ora, quello che è chiarissimo per l'arte musicale risulta totalmente oscuro a chi assiste alla liturgia odierna.

Come mai?

L'esecuzione della liturgia come una serie di azioni sacre, all'interno di un quadro coerente in un'unità di tempo prestabilita oggi è stata frantumata e questo, in gran parte, per opera del clero.

Nella liturgia riformata del mondo cattolico, infatti, soprattutto nella cosiddetta messa, sono state inserite molte pause, riflessioni, monizioni, interventi. L'esecuzione della preghiera avviene a singhiozzi, il tempo liturgico viene continuamente spezzettato, come se, in un aereo in fase di decollo venissero di continuo azionati i freni.

La rottura dell'unità di tempo determina la grave conseguenza del decadimento della preghiera e dell'assenza di "densità" o di sacralità nel momento liturgico.

Tutto questo va contro la prassi ascetica tradizionale che prevedeva una preghiera personale senza interruzioni e distrazioni. Gli autori ascetici scrivono, infatti, che il demonio può distrarre la mente "a sinistra" dell'asceta (ossia con pensieri che non c'entrano nulla con la pietà, come quelli impuri), ma pure "a destra" dell'asceta (ossia con pensieri pieni di pietà). Il fine ottenuto è proprio quello di disperdere lo spirito, fiaccandolo, impedendogli d'imprimere energia alla preghiera e, in definitiva, fermando la preghiera stessa a favore di una "comprensione" razionalistica.

Non avviene, forse, esattamente lo stesso quando vengono fatte continue monizioni, esortazioni, pii interventi, osservazioni, all'interno delle liturgie cattoliche odierne?

E' chiarissimo che è così: l'adorazione si è disciolta in mille rigagnoli di pie intenzioni e questo è reso possibile proprio per aver fatto decadere la liturgia ad un puro discorso catechetico in varii suoi momenti, con la conseguente rottura dell'unità del tempo liturgico.

Ovviamente queste evidenze vengono tutt'altro che insegnate nei seminari in cui si forma il clero cattolico. L'azione oggettiva della liturgia, quale preghiera di tutta la Chiesa, viene progressivamente sostituita dall'azione pietistica dell'individuo, dal suo desiderio di razionalizzare il mistero sottraendo alla vita l'azione sacrale del culto liturgico.

Duole constatare che questo fenomeno di decadenza sta iniziando a riguardare lo stesso mondo bizantino, di suo tendenzialmente molto più conservativo.

Mi è stato riferito che qualche domenica fa un sacerdote ha interrotto la liturgia per sgridare un fedele al quale era squillato un telefonino, facendo una vera e propria scenata nevrotica.

La Chiesa (sia in Occidente che in Oriente) tradizionalmente non prevede interruzioni nella liturgia. Le interruzioni sono previste solo in occasione di gravi eventi (guerra, assassinio in chiesa, terremoto, ecc.). In tutti gli altri casi la liturgia deve proseguire perché deve rispettare una sua unità interna che le permette d'eseguire un lavoro di grazia nell'animo del fedele.

Dirò di più. Un sacerdote che, per uno squillo di telefono, s'inquieta così tanto, dimostra di non essere rapito dal mistero che sta celebrando. Egli, come tutti quei fedeli che al minimo rumore si guardano attorno, sembrano realmente essere fuori posto. Qui, allora, c'è una celebrazione più formale che reale, un'assistenza più sterile che fruttuosa.

Il cristiano che permette al suo cellulare di suonare lungo la liturgia manifesta chiaramente una certa incuria e non è da scusare. Ma mille volte peggio è il prete che interrompe la liturgia. Nel monte Athos ci sono dei monasteri i quali hanno le cucine molto vicine alla chiesa. Succede, così, che quando si celebrano i misteri divini sia inevitabile che i rumori della cucina si mescolino un poco con i canti della chiesa. L'insieme, però, risulta essere gradevole anche per chi sta alle porte della chiesa e offre l'impressione che la benedizione della chiesa si effonde in ogni dove, pure nelle cucine in cui si fa un certo lavoro per la comunità monastica. E' l'uomo che in ogni sua condizione viene raggiunto dal sacro e nulla interrompe tale diffusione, com'è giusto che sia. Tutto ciò pare sfuggire perfino ad un certo clero bizantino presente in Italia, segno della progressiva secolarizzazione di quest'ultimo.

E' ovvio, allora, che attraverso queste interruzioni della preghiera avvenga la rottura dell'unità di tempo nella liturgia e che quest'ultima inizi a desacralizzarsi. Non si può sostenere il contrario; sarebbe analogo a chi, rompendo una conduttura d'acqua, sperasse ingenuamente che il liquido potesse ugualmente percorrere la lunghezza della tubatura per giungere fino al rubinetto.

Solo un serio recupero dei dati tradizionali e dei presupposti ascetici è in grado di sanare questa situazione alterata e alterante, fortemente diseducativa, dalla quale i credenti escono con più fame e sete di prima. Ma la tendenza odierna nelle chiese va ancora troppo nella direzione della desacralizzazione.



Pietro C.


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