domenica 15 aprile 2012

Convertitevi e fate penitenza!







di Padre Giovanni Cavalcoli

  Come sappiamo bene, l’anno liturgico comporta dei periodi di più intenso impegno morale – l’Avvento e la Quaresima -, che servono per compiere un passo avanti nel nostro cammino spirituale, rafforzando la nostra fede, potenziando le nostre risorse, confermandoci nella nostra vocazione, correggendo i difetti, formando nuovi propositi sulla linea del cammino intrapreso. Per riassumere tutto in una formula che oggi viene impiegata per l’interpretazione del Concilio Vaticano II: progresso nella continuità, oppure: tradizione nel rinnovamento. Infatti ciò che ha compiuto il Vaticano II è l’esempio a livello ecclesiale, di ciò che ognuno di noi deve fare nella sua vita personale.

 Col Concilio la Chiesa, proprio al fine di mantenere e rafforzare la sua immutabile identità di Sposa e Corpo di Cristo, e Popolo dell’Alleanza, ha preso una maggiore coscienza di se stessa, potenziando il positivo, correggendo il negativo e formulando propositi di riforma, di avanzamento e di rinnovamento al fine di poter operare più efficacemente per la salvezza dell’uomo nel mondo contemporaneo, rendendosi più capace di attirare a Cristo gli uomini del nostro tempo.

Similmente dobbiamo fare noi, direi quasi ogni giorno, ma soprattutto in quei momenti forti dell’Anno liturgico, compiendo in tal modo un lavoro che è al contempo personale, associativo, comunitario ed ecclesiale. Il lavoro primo da fare è di carattere intellettuale: quella che Paolo chiamava la metànoia, il mutamento di pensiero o di mentalità, cambiare le nostre idee. Ma quali? In che senso? E perché? E a qual fine? Con quali criteri? Con quali risultati? Al mutamento di idee poi naturalmente deve seguire al messa in pratica, nella quale soltanto si verifica la vera conversione.

 Il mutamento di pensiero può comportare due aspetti validi: progredire nella conoscenza e nella virtù e correggersi dagli errori e dai vizi. Sarebbe invece sbagliato intender tale mutamento in un senso evoluzionista o modernista, il quale suppone che non esistano verità immutabili, al di sopra del tempo e della storia, ma si crede che il progresso consista in una totale instabilità o mutevolezza del pensiero nelle sue stesse basi, senza certezze stabili o verità assolute, per cui secondo loro la metànoia sarebbe un cambiare idea in conformità ad ogni moda del momento secondo come giudichiamo che ci convenga non in base a princìpi universali, ma come meglio ci aggrada secondo i nostri gusti personali, simili a quelle “canne sbattute dal vento”, delle quali parla Cristo. In tal modo pensiamo di essere “moderni” e di avere abbandonato vecchie e superate idee da gettare nei rifiuti del passato o al massimo nelle storie della filosofia o della teologia. Oppure ci può essere un altro modo sbagliato di intendere la metanoia e le pratiche penitenziali: quello di compiere alcune pratiche puramente esteriori, di tipo rituale o liturgico o qualche gesto ascetico, come l’astinenza da certi cibi o qualche altra rinuncia esteriore di poco conto, conservando però ostinatamente e presuntuosamente certe idee o convinzioni o abitudini che in realtà non sono conformi a quanto ci richiede nella sua pienezza la dottrina della fede e l’esercizio pieno delle virtù cristiane.

 In questi periodi di riforma e di rinnovamento dovremmo fare ogni tanto una verifica innanzitutto dell’ortodossia della nostra fede, anche se siamo religiosi, sacerdoti, vescovi e cardinali, e, perché no? Anche il Papa (come dottore privato), perché tutti, per quanto istruiti e d amanti della verità, in questi tempi di grande confusione dottrinale e di diffusione di sottili inganni diabolici (primo fra tutti non credere all’esistenza e all’azione del demonio), siamo sottoposti al pericolo di uscire dal sentiero della verità o magari di esservi già usciti, eventualmente senza essercene accorti. E allora perché non esser grati al fratello che ci illumina, soprattutto se costituito in autorità o nostro amico? Se ci offendiamo vuol dire che non sbagliavamo in buona fede, ma con malizia. Per questo un’attenta periodica verifica – ecco l’Avvento e la Quaresima! – su questo punto è sempre opportuna, confrontandosi con i testi autentici della verità cattolica, come per esempio il Catechismo e i documenti della Chiesa e dei Papi, senza escludere l’insegnamento dei Santi, dei Padri, dei Dottori e dei buoni predicatori, guide spirituali, teologi e scrittori cattolici.

 Quanti erranti ed eretici dovrebbero pentirsi e rinsavire in questi periodi liturgici! Magari sotto l’influsso di persone caritatevoli, e invece non si ha mai nessuna notizia di cose del genere. Vuol dire che questi periodi sono vissuti male, con superficialità o alla maniera dei farisei. Certo non dobbiamo fare gli scettici e i relativisti (per nostro comodo), ma non dobbiamo neppure ritenerci troppo sicuri di essere nella verità, anche se siamo “maestri in Israele” e facciamo attenzione al modo stesso col quale concepiamo la verità, perché se intendessimo la verità non come adeguazione del pensiero al reale e obbedienza all’autorità della Chiesa, ma come soggettiva convinzione dettata dalla nostra presunzione e dalla nostra superbia, magari confortati dal plauso del mondo, saremmo già fuori strada. E non offendiamoci se qualche fratello, sacerdote, teologo o vescovo, o anche semplice laico, ci fa qualche osservazione o critica in campo dottrinale, perché anche questo sarebbe segno di orgoglio, il quale è un vizio orribile, il peggiore di tutti e direi senz’altro diabolico, che impedisce di riconoscere i propri errori, e quindi di correggersi e di avanzare sulla via della verità. Il presuntuoso e l’ambizioso, quando ottiene il successo del mondo, si accontenta di questo e non si accorge lo sciagurato di condurre se stesso e gli altri alla perdizione.

 La vera metanoia, ossia la vera conversione e il progresso spirituale suppongono una virtù fondamentale oggi purtroppo spesso dimenticata o fraintesa: la virtù dell’umiltà, che viene sottilmente e quasi inavvertitamente sostituita col suo opposto, che è quello della superbia, mascherata sotto il velo di paroloni come “autotrascendenza” (alla Rahner) o “autocoscienza” (alla Hegel) o sotto più popolari e seducenti espressioni, come “libertà”, “scienza”, “modernità”, ecc. Infatti la metanoia suppone, come ho detto, la verità del conoscere, cioè, per dirla in termini cristiani, la retta fede. Ma la vera conoscenza a sua volta suppone l’umiltà, perché la verità del sapere, come insegna S.Tommaso d’Aquino, è adaequatio intellectus ad rem, e adequatio implica appunto ascolto, attenzione, obbedienza, sottomissione, accettazione, che sono gli atti principali dell’umiltà. Il primo atto di umiltà che dobbiamo compiere, atto dal quale poi provengono tutte le altre forme di umiltà e poi tutte le altre virtù, che culminano nella carità – come insegna S.Caterina da Siena -, è l’obbedienza del nostro intelletto al dato oggettivo reale così com’è. Invece la superbia ha origine da un concetto opposto di “verità”, per il quale l’uomo implicitamente si sostituisce a Dio, ed è il concetto di verità che si trova in Fichte: verità non come adeguarsi, ma come “porre” (setzen), verità non come umile sottomissione al reale, ma come porre il reale, secondo la celebre formula fichtiana: l’Io che pone il non-io.

Ma cos’è la superbia se non l’io che si mette al posto di Dio? Ed infatti se questo “non-io”, ossia le cose, il reale, il mondo, lo pongo io, che bisogno ancora c’è di un Dio che crei il mondo? Ci penso io! Da questa concezione della verità non può venire nessuna metanoia se non semmai quella falsa dei relativisti, degli evoluzionisti e dei modernisti, i quali si sentono autorizzati in base al proprio “Io” a mutare tutto quando e come vogliono, sotto vari speciosi pretesti, come “aggiornamento”, “progresso”, “adeguarsi al nuovo”, “stare all’altezza dei tempi” e balle del genere, che abbiamo sentito un’infinità di volte. Certamente vera metanoia non c’è neppure in quel tradizionalismo anacronistico e sclerotizzato come quello del mulo che si impunta testardamente e non vuol più andare avanti. Qui il cambiamento o la metanoia possono addirittura venire negati in nome di una “fedeltà” o di una “tradizione” che sono attaccamento a un passato ormai finito o di un’immutabilità che non è quella dello spirito, ma dei macigni e dei cadaveri rinsecchiti.

 E’ chiaro che la vera metanoia si basa su di un’autentica Tradizione divina e non quelle “tradizioni di uomini” condannate da Cristo. Ma appunto il vero rispetto per questa sacra Tradizione chiede anch’esso l’accoglienza e la ricerca del nuovo e del più avanzato, giacché la Parola di Dio conservata nella Tradizione è di una sconfinata ricchezza, per la quale può esser sempre meglio conosciuta ed applicata. Il problema della metanoia è che noi cambiamo quando dovremmo conservare e restare fedeli: abbiamo per giustificarci inventato persino un Dio che “muta” alla maniera del Dio di Hegel, mentre d’altra parte restiamo ostinatamente attaccati alle nostre eresie, perché ci riteniamo in contatto originario, immediato ed apriorico con Dio, unici possessori della verità in mezzo ad una massa di cretini o di arretrati. Oppure restiamo attaccati ad un passato morto, quando invece dovemmo umilmente aggiornarci, dovremmo correggerci e progredire, e non rifiutarci sotto pretesto magari dell’immutabilità del dogma o dell’intangibilità della Tradizione, pronti ad accusare di errore e di tradimento non noi ma il Magistero della Chiesa.

 Bisogna recuperare il senso profondo ed originario della metanoia paolina, che è certo correzione di costumi e di abitudini pratiche, è certo uscita dal vizio e ricerca della virtù, ma all’inizio e alla radice di tutto, come spero di aver dimostrato, c’è l’umile apertura della mente alla realtà delle cose, quindi di noi stessi, di Dio e del mondo. Solo così la metanoia potrà attuarsi contro la rigidezza di un gretto tradizionalismo e contro la falsificazione modernistica della metanoia nella rivoluzione permanente o nella vita gelatinosa delle pappemolli e lo stile del voltagabbana e del camaleonte.


Libertà e Persona   14 Aprile 2012

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