sabato 31 marzo 2012


Non sacra musica, ma rumori d'assalto

Dopo il coro della Cappella Sistina, anche il conservatorio della Santa Sede sta per essere conquistato dai responsabili della deriva musicale di questi ultimi decenni. Nel silenzio del papa

di Sandro Magister




ROMA, 30 marzo 2012 – L'ultimo baluardo a Roma della grande musica liturgica della Chiesa latina, edificato sulle colonne del canto gregoriano e della polifonia di Giovanni Pierluigi da Palestrina, rischia da un momento all'altro di capitolare.

Questo baluardo è il Pontificio Istituto di Musica Sacra, il conservatorio musicale della Santa Sede, istituito da Pio X un secolo fa per imprimere il giusto indirizzo alla musica sacra nelle chiese di tutto il mondo.

Lo presiede monsignor Valentino Miserachs Grau, 69 anni, catalano, che è anche direttore della Cappella Liberiana, il coro della basilica papale di Santa Maria Maggiore. Lì egli ebbe come predecessore e maestro Domenico Bartolucci, il più insigne compositore e interprete di musica liturgica che la Chiesa romana abbia avuto nell'ultimo secolo, già direttore del coro pontificio della Cappella Sistina da cui fu brutalmente estromesso nel 1996, fatto cardinale da Benedetto XVI nel 2010.

C'è una profonda identità di vedute, in materia di musica liturgica, tra papa Joseph Ratzinger e l'attuale dirigenza del PIMS. Ma come è già accaduto nel 2010 per il cambio di direttore del coro della Cappella Sistina, anche per il rinnovo della presidenza del Pontificio Istituto di Musica Sacra tutto sta per essere deciso – non dal PIMS ma contro di esso – senza un personale coinvolgimento del papa.

I motivi di questa estraniazione di Benedetto XVI – sua volontaria, con il tripudio di molti – da decisioni operative in una materia a lui così congeniale e da lui ritenuta così essenziale alla missione della Chiesa restano tuttora indecifrati.

Sta di fatto che questa estraniazione del papa dà il via libera nella Chiesa, anche ai livelli più alti, a uomini e a indirizzi musicali che sono i più lontani da quello "spirito della liturgia" che anima l'intera sua visione di teologo e di pastore.

Il caso della Cappella Sistina è emblematico. La nomina dell'attuale direttore, monsignor Massimo Palombella, è maturata nel chiuso degli uffici della segreteria di Stato vaticana, sicuramente tra i meno competenti in materia. E non ha affatto risollevato il coro che accompagna le liturgie pontificie dal degrado nel quale era precipitato.

Non basta, infatti, che la scelta degli autori e dei canti sia oggi più in linea con i desideri del papa. Sono altrettanto importanti la qualità delle esecuzioni e la visione che le ispira.

Più sotto, in questa pagina, è riportata una recensione critica a firma di un musicologo e musicista di valore, Alessandro Taverna. I suoi giudizi sul coro della Cappella Sistina diretto da Palombella sono naturalmente opinabili. Ma quando per esempio egli fa notare che alla fine di un canto a voce libera "i cantori sono calati di ben tre toni", riferisce un fatto, non una opinione.

Ebbene, per la carica di preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra si profila oggi un avvicendamento ancor più foriero di sventura.

Il nome che la segreteria di Stato si appresta a far approvare da Benedetto XVI è quello di don Vincenzo De Gregorio, l'attuale consulente musicale dell'ufficio liturgico della conferenza episcopale italiana.

Chi è De Gregorio? Ma prima ancora, come si è arrivati alla sua quasi-nomina?

Il Pontificio Istituto di Musica Sacra dipende dalla congregazione vaticana per l'educazione cattolica, il cui prefetto, cardinale Zenon Grocholewski, è anche Gran Cancelliere dell'istituto.

L'attuale preside del PIMS, Miserachs Grau, è arrivato nel 2011 al termine del suo mandato. E in quello stesso anno il cardinale Grocholewski, a norma degli statuti, d'intesa con la presidenza del PIMS, ha scelto il successore nella persona dell'abbé Stephane Quessard, riconoscendo in esso l'uomo adatto per assicurare la continuità degli indirizzi dell'istituto, in piena sintonia con la visione di Benedetto XVI.

L'abbé Quessard ricopre importanti cariche nell'arcidiocesi di Bourges, tra cui quella di vicario episcopale e di presidente della commissione liturgica. L'arcivescovo di Bourges, Armand Maillard, oppose quindi un'iniziale resistenza a privarsi di un sacerdote di comprovato valore come l'abbé Quessard. Ma infine accettò – convinto soprattutto dall'amico Jean-Louis Bruguès, arcivescovo segretario della congregazione per l'educazione cattolica – di "offrirlo" a Roma come preside del PIMS alla sola condizione che l'incarico avesse inizio nell'autunno del 2012, non prima.

Per questo il preside uscente, Miserachs Grau, è rimasto in carica, in proroga, fino alla venuta del successore.

All'inizio dello scorso autunno, la congregazione per l'educazione cattolica trasmise dunque alla segreteria di Stato l'indicazione dell'abbé Quessard come nuovo preside del PIMS, per averne la convalida.

Ma passano i mesi e il "nulla osta" non arriva. Anzi, arrivano segnali opposti. In dicembre la congregazione ha notizia di un primo rifiuto opposto dalla segreteria di Stato. Il cardinale Grocholewski ripropone il suo candidato. E di nuovo, a fine febbraio, scatta il rifiuto. Dalla segreteria di Stato fanno sapere di aver trovato loro "un candidato italiano più adatto".

La congregazione informa l'arcidiocesi di Bourges del doppio schiaffo ricevuto da entrambe. E intanto trapela la voce che per la segreteria di Stato il dado è tratto: il nuovo preside del PIMS sarà don Vicenzo De Gregorio.

Napoletano, organista del Duomo della sua città, già direttore del conservatorio statale San Pietro a Majella, De Gregorio è dal 2010 l'esperto numero uno della CEI per la musica sacra.

Lì ha preso il posto di colui che è stato il suo mentore, don Antonio Parisi, di Bari, per trent'anni factotum dei vescovi italiani in un campo, quello della musica liturgica, nel quale la mediocrità e la confusione continuano a regnare sovrane, come prova il repertorio nazionale di canti sacri messo insieme dallo stesso Parisi, l'ultimo della serie nel 2008.

Assieme a monsignor Marco Frisina – direttore del coro della basilica di San Giovanni in Laterano, la cattedrale di Roma, e fortunato autore di colonne sonore di film – don Parisi è uno dei più seguiti compositori di canti sacri in uso nelle chiese italiane. Con uno stile leggero, da "canzonetta", che ha sempre fatto inorridire non solo un Bartolucci, ma anche, in campo profano, un sommo maestro come Riccardo Muti.

Sia Parisi che Frisina sono legati a filo doppio col direttore della Cappella Sistina, Palombella. A prova di ciò, all'ultimo concistoro, lo scorso febbraio, Palombella ha chiamato a Roma, a fare da coro-guida per i fedeli in San Pietro, un coro creato a Bari da un discepolo di Parisi, don Maurizio Lieggi. Mentre il prossimo 1 aprile, per la messa della domenica delle Palme, come già in altre numerose occasioni, Palombella avrà accanto a sé il coro diretto da monsignor Frisina.

I tre godono di sostegno anche agli alti gradi della curia vaticana. Il capocordata, Palombella, è tra i prediletti del cardinale Tarcisio Bertone, che dopo averlo insediato alla direzione della Cappella Sistina continua ad ascoltarne le indicazioni in materia musicale come fosse un oracolo. E anche il cardinale Gianfranco Ravasi, prefetto del pontificio consiglio della cultura, ha un debole sia per Palombella che per Frisina.

Con De Gregorio alla testa del Pontificio Istituto di Musica Sacra, al terzetto si aggiungerebbe un quarto uomo, per di più in una carica di grande influenza sulle sorti della musica sacra nelle chiese di tutto il mondo.

"Fu una sana apertura, ed era di qualità", ha detto De Gregorio la scorsa estate al quotidiano "la Repubblica" a proposito della "Messa beat", la celebre composizione del 1966 musicata da Marcello Giombini che ha lasciato un'impronta duratura in molti canti entrati in uso nelle parrocchie, con innesti di motivi pop, rock, jazz, spirituals, etno.

Se questo è il verbo del nuovo preside del PIMS, il futuro del conservatorio vaticano è segnato: un futuro d'abbandono, già fatto presagire dalla mancata udienza del papa all'istituto nel centenario della sua fondazione, nel marzo del 2011: un'udienza prima promessa per iscritto dalla segreteria di Stato e poi inopinatamente cancellata.

Il vero enigma è come tutto ciò possa accadere regnante Benedetto XVI, in un campo come la musica liturgica nel quale la sua visione è ogni volta contraddetta dai fatti.

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CAPPELLA SISTINA: UNA RECENSIONE CRITICA

di Alessandro Taverna



La nomina di don Massimo Palombella alla guida della Sistina aveva colto un po' di sorpresa gli "addetti ai lavori", che l'hanno creduta di motivare leggendovi un attestato di fiducia e di stima nei suoi confronti da parte del Santo Padre e del suo segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone.

Molte erano le speranze: la principale era che il nuovo direttore potesse risuscitare una tradizione musicale gloriosa progressivamente esauritasi, specialmente negli ultimi dieci anni, unitamente al perfezionamento di una qualità vocale del coro, non sempre encomiabile.

Ebbene, benché la Cappella Sistina sotto la direzione di Palombella abbia il merito di aver recuperato la prassi dell'esecuzione palestriniana (prima completamente dimenticata nelle messe papali), bisogna riconoscere che il livello vocale del coro è scaduto e peggiorato ulteriormente.

In particolare si coglie l'incapacità da parte dei cantori di sostenere un ritmo accettabile. La velocità di esecuzione diventa spesso lenta in modo esasperato, come nel caso del "Tu es Petrus" di Palestrina. Estendendosi praticamente fino al saluto iniziale della messa, si è ultimamente deciso di farlo terminare a "ecclesiam meam", per accorciarne la lunghezza.

L'uso delle trombe d'argento all'inizio della celebrazione (retaggio del rito della cappella papale di un tempo) è assai discutibile nella forma in cui oggi è stato ripristinato, tant'è vero che – anche qui – il prolungarsi della Marcia di Domenico Silverj ha determinato non poche difficoltà: più volte il pontefice, avendo già raggiunto la sede, ha dovuto aspettare che fosse terminata anche un'esecuzione affrettata dell'introito.

Ultimamente il "Tu es Petrus" di Palestrina è stato abbandonato per quello, più breve e troncato anch'esso, di Maurice Duruflé: si è così lasciato spazio a un'esecuzione dell'introito più articolata nelle strofe.

Circa il gregoriano, i problemi si fanno ancora più evidenti. Non si capisce, ad oggi, il motivo che spinge a lasciare la "schola cantorum" sempre sguarnita dell'accompagnamento dell'organo, col risultato che i cantori – incapaci di mantenere da soli la tonalità – calano in modo vistoso e drammatico, un calare che viene palesato ogni volta che l'organo interviene per accompagnare l'assemblea dei fedeli.

C'è da dire che anche la scelta del coro-guida dell'assemblea è infelice. Un tempo costituito da sole voci maschili, oggi è in prevalenza femminile, e ogni volta assesta il colpo esiziale alla già precaria intonazione della "schola".

Inviterei a riascoltare il canto delle Litanie dei Santi eseguite il giorno dell'Epifania per rendersi conto che dall'inizio alla fine i cantori sono calati di ben tre toni.

È evidente, a questo punto, che l'attuale coro della Sistina non dovrebbe permettersi di fare a meno, nel gregoriano, dell'accompagnamento dell'organo, utilizzato invece per sostenere gli interventi dell'assemblea. In quest'ultimo caso, d'altra parte, le armonie impiegate dall'organista hanno un sapore alquanto decadente e quasi "jazzistico", con l'impiego massiccio di settime, che stridono ancora di più con la scelta fatta poco prima dalla "schola" di cantare a cappella. Personalmente, trovo che il fraseggio dell'organo non è sempre comprensibile, alla luce dell'oggettività e della semplicità che dovrebbero caratterizzare la monodia gregoriana.

C'è inoltre da aggiungere che la dislocazione dei numerosi microfoni non giova alla comprensione delle armonie eseguite nel canto polifonico, che risultano poco chiare, specialmente nel canto dei falsobordoni, sia nell'Ordinarium Missae che in altre occasioni, come negli inni e nei salmi dei Vespri.

Per chi ascolta alla televisione, questo inconveniente mette ancor di più in evidenza i problemi di cui si è parlato poc'anzi, anche perché sembra che vi sia come un'insistenza – specie nelle nuove composizioni proposte – su armonie dissonanti che non hanno nulla di sbagliato in se stesse, ma che appare azzardato affidare a un coro che presenta i limiti suddetti (si riascolti, ad esempio, il "Tu es Petrus", versetto all'Alleluia, eseguito lo scorso 19 febbraio in occasione del concistoro).

Parlando ancora del ruolo dell'organo, mi sembra che si sia promosso un indirizzo generale che ha portato a una sostanziale sua abdicazione, a favore di altri strumenti, quali la "fanfara" degli ottoni che ci siamo abituati ad ascoltare all'ingresso e all'uscita del pontefice. Manca del tutto, duole ammetterlo, l'approfondimento e la promozione di una consolidata prassi organistica, che spazi dall'improvvisazione alla grande letteratura italiana ed europea.

Il 15 ottobre scorso Palombella ha rilasciato un'intervista al "L'Osservatore Romano", nella quale tra l'altro affermava che, facendo tesoro dell'eredità consegnataci dalla vocalità del Novecento, i cantori avrebbero dovuto migliorare l'intonazione secondo un metodo "scientifico", basato in particolare sull'intonazione delle terze e delle quinte.

Bisogna però riconoscere che proprio riguardo all'intonazione non si vede alcun progresso, ma piuttosto una generalizzata e inarrestabile involuzione, con un ulteriore difetto che molto spesso si avverte, e cioè che si sentono i cantori "urlare".

Risultati, dunque, che per adesso non corrispondono ai propositi formulati in quell'intervista.




http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350206

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