sabato 14 gennaio 2012

Vescovi e preti cinesi “dimenticati” in carcere







di Marco Tosatti

Il Papa ha ricevuto il 9 gennaio scorso il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, e ha pronunciato un discorso importante; vi ha tracciato, come è d’uso, un quadro della situazione del mondo e della fede, con una particolare sottolineatura per quei luoghi e situazioni che mostrano una particolare sofferenza per la violazione di quello che è uno dei diritti fondamentali dell’uomo, la libertà di credere e pregare.

Ha parlato dell’Africa, della Terrasanta, del Pakistan; ma nel testo era assente, completamente, un Paese grande come un continente, e in cui la libertà religiosa, quella dei cattolici, dei cristiani e di molte altre fedi è sottoposta a una violazione continua e costante: la Cina continentale. Un silenzio pesante, anche perché ci sono persone in Cina che pagano continuamente la loro fedeltà al papa e alla Chiesa di Roma. Ancora una volta, come già ai tempi dell’Unione sovietica e della Cortina di ferro, Roma si torva di fronte al dilemma, drammatico, di dover scegliere fra il dovere della denuncia verso un regime oppressivo e dittatoriale, e la necessità di una linea che non pregiudichi la possibilità di aprire spazi di dialogo e di libertà per la Chiesa stessa nel Paese. Il discorso al corpo diplomatico che il Papa pronuncia ogni anno all’inizio di gennaio è fortemente impregnato delle attenzioni e cautele della seconda sezione della Segreteria di Stato, il “ministero degli Esteri” vaticano. Tutto fa pensare che il silenzio di Benedetto XVI sulla Chiesa di Cina è molto probabilmente frutto del desiderio di non irritare il Dragone nel momento in cui si cerca un nuovo equilibrio, dopo gli strappi e le tensioni del recente passato.

Comprensibile; ma ben triste. Soprattutto se c’è chi, dimenticato da tutti o quasi, è in prigione da decenni. Nelle ultime settimane del 2010 l’agenzia di stampa “AsiaNews” ha assegnato un premio provocatorio: quello meritato da chi nel 2010 “non ha avuto alcun riconoscimento pubblico, chi è dimenticato nonostante anni di lotta per la verità, la dignità e la giustizia: insomma un premio “all’illustre sconosciuto”. I vincitori di questo ben tristemente meritato riconoscimento sono due grandi sconosciuti: due vescovi cinesi della Chiesa “sotterranea” da decenni rapiti dalla polizia e dei quali sia poco o nulla.

Il primo è monsignor Giacomo Su Zhimin, quasi 80 anni, vescovo di Baoding (Hebei), arrestato dalla polizia l’8 ottobre 1997. Da allora nessuno conosce né l’accusa che ha causato l’arresto, né se vi sia stato un processo, né il suo luogo di detenzione. Nel novembre 2003 è stato per caso scoperto in cura in un ospedale di Baoding, circondato da agenti della pubblica sicurezza. Le autorità hanno permesso ai parenti una breve visita; dopodiché l’anziano presule è stato di nuovo inghiottito dal segreto poliziesco.

Il secondo è mons. Cosma Shi Enxiang di 90 anni, vescovo di Yixian (Hebei), arrestato il 13 aprile 2001. Di lui non si sa neanche quel poco che è emerso per il suo collega. I suoi parenti e i fedeli continuano con pazienza e perseveranza a domandare alla polizia sue notizie. Ovviamente, senza fortuna.

Giustamente la stampa mondiale si è mossa, e con essa i siti web, per difendere personaggi famosi della dissidenza cinese, come il premio Nobel Liu Xiaobo, o il grande Bao Tong. Purtroppo persone come i due vescovi, veri profeti della dissidenza, perché da decenni si battono per affermare uno dei primi e basilari diritti dell’uomo, quello di credere, non trovano memoria. Profeti perché hanno combattuto per la libertà dell’individuo; fra i primi a subire una persecuzione, che neanche l’età avanzata riesce ad addolcire; i primi a subire arresti e condanne; i primi a lanciare appelli alla comunità internazionale; e i primi ad essere dimenticati.

La storia della loro vita è un’icona della fedeltà. Prima dell’ultimo arresto, mons. Su Zhimin ha passato a fasi alterne almeno 26 anni in carcere o ai lavori forzati, bollato come “controrivoluzionario” solo perché , fin dagli anni ’50, si è sempre rifiutato di aderire all’Associazione patriottica, che vuole edificare una chiesa nazionale staccata dal papa. Nel ’96 – da un luogo nascosto perché ricercato – era riuscito a diffondere una lettera aperta al governo cinese perché rispettasse i diritti umani e la libertà religiosa del popolo. In tutto ha già speso 40 anni in prigionia.

Mons. Shi Enxiang è stato incarcerato ancora più a lungo: dal 1957 fino al 1980, costretto ai lavori forzati agricoli nell’Heilongjiang, fino a fare il minatore nelle miniere di carbone dello Shanxi. È arrestato ancora per tre anni nel 1983, poi subisce tre anni di arresti domiciliari. Nell’89 – alla costituzione della Conferenza episcopale dei vescovi sotterranei – viene ancora arrestato e rilasciato solo nel ’93, fino al suo ultimo arresto nel 2001. Al momento in cui scriviamo, ha passato già 51 anni in prigione.

E’ necessario ricordarli oggi, anche perché è ben fondato il timore che il regime cinese li faccia morire sotto le torture, come in passato è avvenuto per altri vescovi cinesi imprigionati (mons. Giuseppe Fan Xueyan nel ’92; mons. Giovanni Gao Kexian nel 2006; mons. Giovanni Han Dingxiang nel 2007). E’ importante ricordarli perché il regime cinese li teme: tanto che ha cercato di impedire, nel luglio scorso, che i suoi parenti a Baoding, Hebei, festeggiassero i suoi 80 anni con momenti di preghiera. Poliziotti nelle strade, cellulari controllati, divieto di riunione di gruppi nelle case.

Il “non sappiamo” è la risposta – francamente incredibile, in Cina - che il Vaticano riceve quando – in incontri privatissimi con qualche burocrate cinese – osa fare domande sulla sorte dei presuli scomparsi. Nel timore che la loro sorte peggiori, i loro nomi non vengono mai citati nemmeno nelle preghiere per i perseguitati. C’è da chiedersi se e quanto funzioni l’approccio morbido, con un regime di infinita prepotenza, se non riesce neanche a portare un po’ di sollievo a degli anziani presuli, o alle decine di sacerdoti della Chiesa “sotterranea”, eroici come loro, che languono nei lager cinesi.

vatican insider 14 gennaio 2012

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