domenica 11 dicembre 2011

L'itinerario dell'anima nella liturgia. Quell'«otium» che ci conduce a Dio






«La liturgia, itinerario dell'anima verso Dio» è stato il tema di una riflessione che il maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie ha tenuto a Roma in occasione del 43° congresso internazionale dell'associazione «Sanctus Benedictus patronus Europae». Ne pubblichiamo ampi stralci.





di Guido Marini

L'anima umana, ossia l'uomo, è chiamata a compiere l'itinerario verso Dio, a realizzare, pertanto, la propria santificazione. Questa è l'opera prima e decisiva della sua vita, il suo dovere primario (cfr. Pio xii, lettera enciclica Mediator Dei, 11). Ma un tale compito è realizzabile a partire da quell'azione sacra per eccellenza che è la liturgia: sacra perché azione di Cristo e del suo corpo che è la Chiesa; sacra perché esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo; sacra perché resa tale dalla potenza amorevole dello Spirito Santo.

La liturgia «è essenzialmente actio Dei che ci coinvolge in Gesù per mezzo dello Spirito» (Benedetto xvi, esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis, 37). Come ricordava l'allora cardinale Ratzinger a Fontgombault, nel 2001, «Dio agisce nella liturgia attraverso Cristo e noi possiamo agire soltanto attraverso Lui e con Lui» (Opera omnia, Teologia della liturgia, p. 747).

La liturgia, quindi, possiede una sua sacralità o santità oggettiva alla quale ciascuno deve attingere per poter procedere nel cammino della propria santità, della santità personale e soggettiva. In questo legame con il «sacro» e, dunque, con una realtà oggettiva di grazia che ci precede, troviamo la specificità dell'itinerario dell'anima verso Dio a partire dalla liturgia.

Cristo stesso «è presente nella sua parola, giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura» (Sacrosanctum concilium, 7). Non si può che partire da qui per illustrare quanta parte abbia la Parola di Dio, ascoltata nella liturgia, nell'itinerario dell'anima verso Dio. Vi sono certamente altri luoghi e momenti per l'ascolto personale e fruttuoso delle Scritture sante. Tuttavia, come sappiamo, la Parola del Signore, ascoltata nel contesto della celebrazione liturgica, si accompagna in modo del tutto particolare all'azione dello Spirito Santo, che la rende operante nel cuore dei fedeli. La Scrittura, proclamata dalla Chiesa nel culto liturgico, è la Parola viva e attuale di Dio, così che si rende possibile un rapporto personale tra Dio e l'uomo nella successione del tempo.

Inoltre, l'atto liturgico ha la capacità di sottrarre la pagina della Scrittura al gusto soggettivo e transitorio, donandola all'anima umana quale voce di Dio da accogliere, al presente, nella propria vita. In tal modo, il primato non è dato alla disposizione interiore individuale, ma a ciò che nell'oggi dell'atto liturgico il Signore desidera dire al suo popolo, educandolo alla vita evangelica. Perché una tale grazia possa essere accolta abbiamo bisogno dell'intima azione dello Spirito Santo che rende operante nel nostro cuore la Parola di Dio (cfr. Benedetto xvi, esortazione apostolica post-sinodale Verbum Domini, 52).

Anche per questo l'ordinamento generale del Messale Romano ci ricorda che «la Liturgia della Parola deve essere celebrata in modo da favorire la meditazione; quindi si deve assolutamente evitare ogni forma di fretta che impedisca il raccoglimento. In essa sono opportuni anche brevi momenti di silenzio, adatti all'assemblea radunata, per mezzo dei quali, con l'aiuto dello Spirito Santo, la parola di Dio venga accolta nel cuore e si prepari la risposta con la preghiera» (n. 56).

Infine è bene anche aggiungere che, nella celebrazione liturgica, non è l'uomo a piegare a sé il Signore, ma è il Signore a condurre l'uomo nella propria intimità. La Chiesa, quale soggetto vivente, nella sua liturgia ascolta e interpreta la Parola che Dio le rivolge. E ciascuno è chiamato a entrare nello stesso ascolto e nella stessa interpretazione, rinunciando a una manipolazione che condurrebbe non all'ascolto di Dio, ma di se stessi.

A Fontgombault, nel già citato intervento del 2001, il cardinale Ratzinger ricordava che «le configurazione liturgiche possono, a seconda del luogo e del tempo, essere molteplici, come sono molteplici i riti. Essenziale è il legame con la Chiesa, che a sua volta, mediante la fede è legata al Signore. L'obbedienza della fede garantisce l'unità della liturgia al di là del confine di luoghi e tempi e rende così sperimentabile l'unità della Chiesa, Chiesa come patria del cuore» (Opera omnia, Teologia della liturgia, p. 749).

Cristo «è presente nel sacrificio della messa, sia nella persona del ministro, essendo egli stesso che, “offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti”, sia soprattutto sotto le specie eucaristiche» (Sacrosanctum concilium, 7). Una tale presenza del Signore -- nella sua offerta sacrificale e, soprattutto, sotto le specie eucaristiche -- ci conduce al cuore dell'influsso di grazia che il sacro liturgico ha sull'itinerario dell'anima verso Dio.

Mettiamoci, per un istante, in ascolto di san Paolo: «Vi esorto, dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Romani, 12, 1). «Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Galati, 2, 20).

Per l'apostolo tutta la vita del cristiano è un sacrificio, che non ha soltanto un riferimento necessario e continuo al mistero di Cristo, ma ne è la stessa presenza. Il cristiano non è un semplice imitatore di Gesù, quasi fosse chiamato a ricopiare dall'esterno un modello di vita, ma è partecipe dello stesso mistero, fatto presente nell'atto liturgico dell'offerta sacrificale. In virtù dell'opera dello Spirito Santo diventa reale la contemporaneità tra il mistero della salvezza e il tempo dell'uomo. Per questo l'anima cristiana è chiamata a divenire un sacrificio vivente, una liturgia vivente.

In lei dovrà rivivere l'atto supremo con il quale Cristo consegna se stesso al Padre per la salvezza del mondo. «La santità dell'uomo esige la presenza di quest'Atto, e la presenza dell'Atto è il Sacrificio: non più solo di Cristo, ma della Chiesa intera. Tutta la santità della Chiesa, tutta la sua vita è l'Eucaristia, in cui l'Atto del Cristo si fa presente nell'atto stesso del sacerdote ministro della Chiesa; si fa presente nella e per la comunità di tutti quanti i fedeli, che non assistono passivamente ma partecipano attivamente al Sacrificio come all'Atto che fonda e consuma tutta la loro esperienza cristiana» (Divo Barsotti, Il mistero della Chiesa nella liturgia, p. 172).

Se ora ci addentriamo un po' di più nell'atto sacrificale del Signore, ne scopriamo tre diversi risvolti. Anzitutto il sacrifico di Cristo è un sacrificio di adorazione. Nel dono radicale della propria vita il Signore pronuncia il suo sì al disegno del Padre e alla sua volontà. In Lui la vita dell'uomo non è più dissonante rispetto al progetto di Dio. È ristabilita l'adesione piena e definitiva tra il Creatore e la sua creatura. La morte e la risurrezione del Signore sono il suggello di una umanità rinnovata, perché salvata dal dramma della separazione da Dio, nel tempo e nell'eternità.

Il sacrificio di Cristo, in secondo luogo, è un sacrificio di propiziazione. Nella sua immolazione cruenta, infatti, il sacrificio del Signore è anche propiziazione per i peccati del mondo. Il dono sacrificale della croce suppone il peccato e lo sconfigge una volta per tutte e a vantaggio di tutti. Nella partecipazione liturgica al sacrificio di Cristo, l'anima cristiana riceve in dono la capacità di alterità radicale rispetto al male in ogni sua forma. Il sacrificio di Cristo, inoltre, è un sacrificio di lode e di rendimento di grazie. In Cristo sacrificato sulla croce, in effetti, l'umanità intera innalza il suo inno di lode e di grazie al Padre per la salvezza donata. E in quella natura umana che il Signore porta in sé, è presente anche l'intera creazione che torna a orientarsi verso il suo Creatore. Insomma, in quell'atto sacrificale che si rinnova nella liturgia della Chiesa è l'intero cosmo che finalmente si rivolge a Dio, nel canto della lode e del ringraziamento.

Il richiamo alla dimensione del sacro, insito nella liturgia, per illustrare l'itinerario dell'anima verso Dio ha inteso privilegiare la dimensione oggettiva della vita spirituale rispetto al percorso soggettivo. Il che, in altri termini, significa anche affermare il primato della via dell'accoglienza del dono rispetto a quella della confusa e affannata ricerca. In fondo, si tratta dello specifico della fede cristiana applicato all'itinerario spirituale dell'uomo.

Il Santo Padre Benedetto xvi, in un suo discorso, accenna all'oscuramento del significato cristiano del mistero, declinando il possibile pericolo così: «Come avviene quando nella Santa Messa non appare più preminente e operante Gesù, ma una comunità indaffarata in molte cose, invece di essere raccolta e di lasciarsi attrarre verso l'Unico necessario: il suo Signore. Ora l'atteggiamento principale e fondamentale del fedele cristiano che partecipa alla celebrazione liturgica non è fare, ma ascoltare, aprirsi, ricevere» (Discorso ai vescovi della Conferenza episcopale del Brasile - Regione Norte 2 - in visita ad limina Apostolorum, 15 aprile 2010).

È, dunque, quanto mai importante custodire con cura la dimensione contemplativa della liturgia, quella particolare forma di otium che è lo spazio spirituale dell'apertura e della partecipazione al Mistero celebrato. Anche una tale custodia è un servizio prezioso all'anima cristiana e al suo itinerario verso Dio. L'anima cristiana ha di fronte a sé una duplice via: quella dell'otium e quella della acedia, intesa come mancanza di armonia con il proprio essere e, in ultima analisi, con Dio.

L'azione sacra della Chiesa che è la liturgia si propone all'anima cristiana come scuola alta di otium, ovvero di quella contemplazione attiva che apre alla partecipazione della salvezza donata da Dio. Di questo otium si è inteso fare qui l'elogio. Perché è proprio in virtù di questo otium che l'anima cristiana può compiere felicemente il proprio itinerario verso Dio.

(©L'Osservatore Romano 11 dicembre 2011)

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