venerdì 25 novembre 2011

Umiltà nella preghiera





di Augustin Guillerand, certosino

Pater noster è la preghiera perfetta e la perfetta espressione della vita religiosa. Il Padre è senza dubbio Colui che dona tutto, ma è pure Colui che è. Egli dona perché Egli è ciò che Egli è. In questa parola "Amore" tutti gli splendori della creazione sono radunati; bisognerebbe vederli allorché la pronunciamo; bisognerebbe con uno sguardo rapido rappresentarsi queste creature innumerevoli, di cui non conosciamo che un'infima parte, e che ci incantano o ci abbagliano, che presuppongono tanta saggezza e potenza; bisognerebbe adorare queste perfezioni in Colui che nel fondo delle nostre anime si dona, ci costituisce, ci comunica tutto ciò che noi abbiamo d'essere e di vita. Allora noi ci terremmo ai suoi piedi, davanti al suo volto, nella verità del nostro nulla che è l’umiltà.

Dio vuole quest'atteggiamento. Non può non volerlo: esso è il punto di partenza di tutta la sua azione in noi, il fondamento dell'edificio che vuole costruire. Egli attende quest'atteggiamento [...].

La vera preghiera è, forse, una cosa molto rara poiché manca questa base necessaria: il porsi alla presenza del divino Interlocutore. Non si sa, non si pensa, non si sente sufficientemente che Egli è lì veramente, che guarda, ascolta, parla, ama e si dona. Troppo spesso Dio non è altro che un semplice pensiero del nostro spirito, che altri pensieri soppiantano. Egli non è il «dolce ospite dell'anima», l'Amico e il Padre.

Prima d'iniziare la preghiera, bisognerebbe dirsi e ridirsi intensamente tutto questo, e farlo vivere come si fanno vivere tutte le cose: ponendosi interamente in esse. L'atto di fede, in questo momento, deve essere atto dell'anima e non solamente dello spirito che dice: ciò è. L'anima non dice nulla, si apre, accoglie e si dona, si lascia possedere e invadere, diviene ciò che dice. Allora Dio è presente a lei, come lei è presente a se stessa. [...].

Amo ripetere che Dio è grande, che è tanto Signore quanto Padre, che ogni eccellenza è in Lui, che tutte le perfezioni riunite e dilatate all'infinito non esprimono la ricchezza unica e piena del suo essere, che tutta la vita passata a contemplare questo mistero, a meditarlo, ad approfondirlo, a ricercare nella sua opera le immagini che possono darne un'idea, ci lascia lontano, molto lontano, infinitamente lontano dalla realtà; che Egli è sempre al di là, molto al di là di tutto ciò che noi possiamo esprimere o concepire.

Da qui l'umiltà. Davanti a questa immensità che oltrepassa tutti i tempi, tutti i luoghi, tutti gli esseri, tutte le loro qualità e le loro perfezioni, il piccolo minuto che io ho da vivere, il piccolo spazio che occupo, i limiti del mio essere e della mia attività contro cui urto ad ogni istante, l'esperienza della mia debolezza, del mio nulla, si afferma, prorompe, mi pone al mio posto, mi fa piccolo, nel mio nulla che Egli fa essere.

Se a ciò si aggiunge il pensiero delle mie colpe, se vedo questo nulla che si oppone a Colui che è, che osa insorgere contro di Lui, o -ciò che è forse peggio- Lo tratta con indifferenza e che si comporta con Colui che è come se non fosse, io mi sento in un abisso.

Ma questo abisso è la mia salvezza, se io lo riconosco! «Colui che si umilia sarà esaltato», dice la Verità fattasi uomo. «Dio -dice san Giacomo- si drizza contro l'orgoglio e l'abbatte; ma riversa la sua grazia su coloro che si fanno piccoli». [...].

Questo sguardo di Dio sull'anima che si fa piccola di fronte a Lui, questo sguardo che è comunicazione di Luce eterna e di Amore infinito, quale dolcezza e forza è nella preghiera! Questo sosteneva la Cananea ai piedi del Salvatore e il centurione alla ricerca di un miracolo. Gesù si arrendeva alla loro supplica che gli strappava a viva forza il prodigio e la sua estatica ammirazione.

L'umile che prega si presenta con la forza di attrazione del vuoto per l'Essere che vuole riempirlo. Nessuna resistenza da abbattere, nessuna presenza da eliminare, nessuna trasformazione da operare. Non vi è che da entrare, prendere il posto, rispondere a un'attesa e colmarla. «Dio è infinitamente liberale -dice Guglielmo d'Auvergne -. Dio ama donare secondo ciò che è; niente gli piace più. Chi gli presenta bisogni da soddisfare, una debolezza da sollevare, dei mali da guarire... lo rapisce».

Fonte: De vita contemplativa, n.11, novembre 2011

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