domenica 6 novembre 2011

Recensione all'ultimo libro di Gnocchi e Palmaro


LA BELLA ADDORMENTATA
PERCHÉ DOPO IL VATICANO II LA CHIESA È ENTRATA IN CRISI
PERCHÉ SI RISVEGLIERÀ

di ALESSANDRO GNOCCHI e MARIO PALMARO
Edizione Vallecchi 2011, pp. 252, E 12,50



di Fabrizio Cannone

Facendo seguito agli storici testi di monsignor Brunero Gherardini (Concilio Vaticano II. Un discorso da fare, Casa Mariana, 2009) e di Roberto de Mattei (Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Lindau, 2010) qui già recensiti, il duo cattolico per eccellenza, Gnocchi-Palmaro, conclude, da par suo, e in modo assai più soft, una trilogia storico-teologico-culturale che nei prossimi anni e decenni non potrà essere ignorata negli studi sul Concilio, il post-Concilio, la crisi della fede e dell'autorità e la retta ermeneutica del Magistero.

Al saggio rigorosamente teologico di monsignor Gherardini ha fatto seguito lo studio storico, di alto rigore scientifico, del professor de Mattei. Qui, con l'eclettica coppia Gnocchi-Palmaro -i quali spaziano nei campi diversi e variegati della letteratura, della poesia, della storia, della bioetica e della sociologia - stiamo di fronte ad un'opera di letteratura cattolica o di sociologia sintetica o se preferite di teologia ironica. In ogni caso, i due appassionati e appassionantissimi autori, mostrano la validità delle analisi critiche di cui sopra, partendo dai fatti ovvero dall'abbandono della fede tradizionale da parte di innumerevoli cattolici che hanno preso la via larga (cf Mt 7,13-14), credendo così -incredibile dictu -di seguire la Chiesa e il suo Sommo Magistero!

Il loro denso testo raccoglie un insieme di critiche, che si rifanno ad Amerio come antesignano, verso Pastori e fedeli del gregge di Cristo, i quali si sono fatti indebitamente irretire dal modernismo, dal progressismo e dal politicamente carretto, divenuto rapidamente dogma negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale.

La loro critica più tagliente è rivolta a coloro, definiti sottilmente neo-centristi o "conservatori del presente", che attribuiscono tutta la crisi della fede, l’abbandono della pratica religiosa, l'apostasia di numerosi chierici e religiosi, fino alle recenti proteste di centinaia di parroci in varie nazioni del mondo... ad una questione di mere interpretazioni e accenti teologici!

Eh, no! Un effetto abnorme, tipo il "fumo di Satana" da Paolo VI visto entrare nel Regno di Dio, deve avere una causa abnorme, e un Concilio pastorale ha (soltanto) un'autorità pastorale, non definitoria, nè profetico-infallibile: sennò che Concilio pastorale sarebbe? Il problema è che se il Concilio si è mantenuto a livello pastorale, o come il cardinal Ratzinger disse nel 1988 «ad un livello modesto», in seguito, in una seconda tappa della Rivoluzione neo-modernista, i teologi e i "Commissari della fede" ne hanno fatto, arbitrariamente, un super-dogma.

E così alla svolta conciliare, nella pratica, corrispose proprio questo: i dogmi di fede (cristologici, mariani ed escatologici per esempio) divennero, se non opinabili, alquanto irrilevanti o almeno marginali, vista la ricerca prioritaria di ciò che unisce i cristiani, rispetto a ciò che divide. Ma la pastorale, il dialogo, l'ecumenismo, l'apertura al mondo, l'aggiornamento, la riforma liturgica -tutte cose né di fede né rivelate né immobili né univoche -divennero i nuovi dogmi, Le novæ questionæs (non disputatæ!) della nuova Dogmatica Conciliare. Negli anni 1970-2005 solo contestando questa si poteva divenire eretici e scomunicati: contestando la dogmatica antica e perenne si era invece... al passo con i tempi!

Sul valore teologico del Vaticano II i due Autori hanno stilato una interessante lista in 13 punti fermi che, quantomeno, può costituire una piattaforma per approfondimenti e dibattiti successivi (cf pp. 226-228). Il punto n. 1 dice per esempio che: «Il Vaticano II è a tutti gli effetti un Concilio della Chiesa cattolica, validamente e solennemente celebrato». Il punto 12 però sottolinea che: «Il Vaticano II non si identifica con la Tradizione della Chiesa; la Tradizione è assai più ampia del Concilio, che ne costituisce solo una parte»; e secondo il n.13: «Si deve ammettere che in questi decenni si è diffusa nel mondo cattolico una ricostruzione esattamente ribaltata: il Vaticano II assorbirebbe e riassumerebbe in se stesso tutta la dottrina della Chiesa, rendendo inefficace e insignificante tutto ciò che lo ha preceduto».

Nelle importanti pagine successive (cf pp. 228-232) si fa una sintesi dei 10 «nodi irrisolti del Vaticano II»: lista altrettanto importante dei 13 punti sopra richiamati.

Insomma un libretto serissimo, ma qua e là scritto in modo semi-serio e giocoso, con accenni esilaranti alle teologie bluff di Don Camillo, di Carlo Verdone, di Rinaldo Falsini e di Enzo Bianchi...

La questione dell'autorevolezza del Concilio, dei suoi limiti e della sua ricezione resta però serissima e di portata epocale per la Chiesa. Lo stesso don Gianni Baget Bozzo, valido teologo oltre che polemista e "politico", scrisse nel 2001 che «il Concilio ha distrutto un ordine cattolico che non voleva distruggere e ha prodotto una crisi dottrinale che prima non c'era [...]. Tutti costatano la crisi ma nessuno vuole dire che è stato il Concilio a produrla» (cit. a pp. 6-7). Solo l'allora monsignor Ratzinger nel 1972 scrisse cose del tutto analoghe a quelle qui esposte.

Ora che certi tabù sono infranti si cerchi di ricostruire la Casa di Dio senza troppo piangersi addosso. Infatti gli stessi «ambienti tradizionali, tornati clamorosamente alla ribalta in questo periodo», sempre giustamente premurosi della difesa della Verità, a volte «sono caduti nella tentazione di dimenticarsi della carità» (p. 235): «Non di quella falsa carità che presuppone di dimenticare la verità, perché quella è meglio gettarla alle ortiche. Ma di quel buon odore di Cristo che ogni cattolico dovrebbe cercare di diffondere intorno a sé, anche nel momento della battaglia» (ibidem).

Insomma accanto alla Verità, per discernere il vero dal falso, è necessaria specie oggi una luminosa carità per avvicinare gli altri a Dio (inclusi i più refrattari modernisti). Altrimenti detto, come insegnava san Tommaso, giova «distinguere, per unire» e non per separare...


Il Settimanale di Padre Pio, n.41 ottobre 2011

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