martedì 22 novembre 2011

L'arte di celebrare: cosa significa?






di don Enrico Finotti

I segni del “sacro” ricevono completezza e unità sinfonica nella celebrazione, dove, in mutua connessione, tutti concorrono, con diverse modalità e intensità, ad esprimere e comunicare la realtà del mistero invisibile.

Affinché, tuttavia, questi segni realizzino pienamente il ruolo di “mediazione” del sacro che significano, è necessario siano posti in modo corretto, consono alla natura di ciascuno, e celebrati con autenticità. E’ questo l’intento “dell’arte del celebrare”, che potremo definire come: la capacità di porre i gesti e pronunziare le parole della liturgia in modo corretto, aderendo devotamente con la mente e il cuore ai contenuti delle preci e ai significati dei riti, in un fedele e umile servizio ministeriale. L’educazione all’arte del celebrare è rivolta a tutti nell’assemblea liturgica - sacerdote, diacono, ministri, assemblea nella sua totalità - anche se con gradi e modalità diversi, relativi ai vari ministeri.

L’arte del celebrare prevede, quindi, la compresenza di tre condizioni:

- porre i gesti e le parole, stabilite dalla Chiesa, in modo corretto: occorre conoscere la struttura e la tipologia dei riti, il genere delle preci e delle formule rituali, il significato dei simboli, la tecnica del porgere e del pronunziare, la nobiltà dei movimenti, la qualità dei materiali e delle forme, il senso dei silenzi e le espressioni del contemplare, gli sguardi, l’incedere, il benedire, il genuflettere, l’elevare, ecc. Il riferimento oggettivo ai riti come oggi la Chiesa li ha fissati deve distogliere la prassi da creazioni soggettive, anche riuscite, ma che non interpretano il “sentire” della Chiesa e non rispettano la natura della liturgia come preghiera ufficiale, pubblica e comune della Chiesa stessa. Si deve perciò evitare di imporre gusti personali di alcuni all’assemblea del popolo di Dio.

- aderire ai riti con la mente e il cuore: la corrispondenza interiore al rito esteriore libera dal pericolo di una fredda esecuzione, conferendo ai riti stessi il calore di un’anima orante penetrata dal balsamo della fede viva e della preghiera, animata dallo Spirito del Signore. Tale interiore cor-rispondenza, necessaria nei ministri e nei fedeli, è l’elemento indispensabile che, soprattutto, qualifica la celebrazione come “viva” e partecipata. La “mistagogia”, - come pedagogia che partendo dai riti porta al mistero da essi significato e comunicato - e la spiritualità liturgica, - come educazione spirituale alimentata dalle azioni liturgiche che prepara e sviluppa nel fedele la celebrazione “in spirito e verità” e la sua attuazione nelle opere - sono le vie classiche e indispensabili per portare il popolo di Dio sulle strade della salvezza, così come storicamente si è realizzata e sacramentalmente viene oggi attualizzata dalla liturgia della Chiesa.

- in umile e fedele servizio: vi è una differenza fondamentale fra il modo dell’attore nella drammatizzazione teatrale e il ministero del celebrante nel culto, soprattutto liturgico. L’attore imita gestualmente, nel vestito, nel linguaggio e in ogni altra espressione il personaggio rappresentato; egli è il protagonista che attira l’attenzione totale dei presenti, tutto dipende dalla sua capacità oratoria e professionalità artistica. Il celebrante, invece, opera una sorta di adorante distacco da Colui che rappresenta, pur rendendo presente il mistero in una maniera unica infinitamente superiore ad ogni espressione teatrale di natura psicologica; egli rimane in umile venerazione delle parole e dei gesti di Colui che è veramente il “presente”, e in tal modo e a questo prezzo rimanda al celebrante sopran-naturale e ne rende percepibile la misteriosa presenza che pervade l’assemblea liturgica.

Il celebrante, intimamente unito a Cristo e sacramento vivo del Signore, è tuttavia il primo adoratore del mistero, che per suo mezzo si compie. Egli nel medesimo tempo, agisce “in persona Christi” e offre ai fedeli l’esempio di umile sottomissione colma di venerazione.

Niente è più alieno al celebrare del recitare teatralmente. Il sacerdote, infatti, non è un protagonista, né la sua capacità celebrativa è, fondamentalmente, legata alle sue qualità oratorie ed espressive. La santità, in realtà, diviene la qualifica più consona del celebrante e quella che garantisce in modo più pieno l’arte stessa del celebrare e il suo impatto sui fedeli. Ciò viene dimostrato dalla vita di sacerdoti santi, penetrati dal mistero che realizzano sacramentalmente sull’altare.

“Pertanto il sacerdote, quando celebra l’Eucaristia, deve servire Dio e il popolo con dignità e umiltà, e nel modo di comportarsi e di pronunziare le parole divine deve far sentire ai fedeli la presenza viva di Cristo” (PNMR, n. 60).


fonte: Liturgia Culmen et Fons

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