sabato 19 novembre 2011

Cristianesimo selettivo


di Don Enrico Bini
Settembre 1989)


In questi ultimi tempi, non è difficile incontrare cristiani che pur professandosi tali rifiutano alcune verità di fede che ritengono ormai poco credibili in un mondo ormai divenuto adulto. Si tratta del cristianesimo selettivo, ossia di una scelta che un singolo compie delle verità che presume più importanti, permettendosi il lusso di abbandonare il resto. Gli esempi più eclatanti sono sotto i nostri occhi, come risulta dalla magistrale relazione del cardinale Ratzinger, all'incontro delle commissioni dottrinali europee, tenuta a Laxenburg presso Vienna.

L'interrogativo che si pone è quello di sapere cosa rimane della fede e della sua natura, quando si nega una verità di fede volendo tuttavia rimanere buoni cattolici. Per ben considerare il problema, occorre riflettere sulla natura dell'abito della fede e delle condizioni della sua esistenza.

Come afferma San Tommaso: la specie di qualunque abito dipende dalla ragione formale dell'oggetto, per cui tolta la specie l'abito non può rimanere. L'oggetto formale della fede consiste sia nella veritas prima in essendo, sia nell'autorità di Dio che si rivela. Per giungere a questa conoscenza è necessario come conditio sine qua non, un medium cognitivum rappresentato dalla scrittura e dalla dottrina della chiesa, ad ambedue queste realtà occorre credere come ad una verità infallibile come ad una regola infallibile e divina.

Quando si rifiuta esplicitamente un qualsiasi articolo della nostra fede, significa che si rifiuta quel mezzo voluto da Dio per manifestare la veritas prima. Per questo motivo la negazione di un solo articolo di fede, pregiudica la fede stessa, intesa come dono del Signore. Credere solamente in maniera parziale ad alcuni elementi della fede cristiana e non a tutti, è un atto che non proviene dall'abito infuso ossia dal dono divino, ma da un giudizio puramente umano.

La manipolazione soggettiva distrugge la stessa possibilità della fede e proprio a causa di questo arbitrio stesso. Il motivo è evidente, se riflettiamo sulla stessa natura dell'abito infuso: la fede come dono di Dio è seminata nei nostri cuori per grazia, e non solo ci aiuta a credere ciò che dobbiamo credere, ma soprattutto a rifiutare quello che non possiamo credere.

Nel caso della negazione di un articolo della fede non si può parlare di abito infuso a causa dell'adesione ad un errore che non si può affatto attribuire ad una realtà di grazia divina. Questo significa che per quanto riguarda il dono teologale della fede non possono esserci miscelazioni o compromessi tra verità ed errore.

Questo non significa che il credente non debba conoscere dubbi o errori nella conoscenza della verità e nella professione della fede cristiana. La vera discriminante è l'ostinazione nell'errore, la pertinace difesa del proprio punto di vista contro il comune sentire della chiesa.

Certamente questa difesa del proprio punto di vista darà la sensazione di un interiore certezza, ma come afferma san Tommaso si tratta di una illusione, infatti afferma: «Nell'eretico la certezza dell'adesione all'atto di fede è atto di fede apparente non di vera fede». L'illusione consiste nel fatto che benché si creda a realtà soprannaturali, non lo si compie per mezzo dell'abito infuso, ma per una considerazione puramente umana. O come aggiunge san Tommaso nella Summa theologiae, si tratta di una opinione secondo la propria volontà. Si toma al soggettivismo che si evidenziava all'inizio, che è frutto dell'orgoglio e della superbia.

Queste brevi note possono illuminare certo irenismo in campo ecumenico, pur nel rispetto per il lungo cammino verso l'unità dei cristiani. Se non vi è un accordo sulle verità di fede, risulteranno anche vani i tentativi di cercare valori comuni, perché come afferma san Tommaso: «Dove manca la conoscenza della verità, falsa è la virtù anche se vi sono buoni costumi».

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