giovedì 6 ottobre 2011

É già silenzio su Econe?

Pubblichiamo un altro articolo di don Enrico Bini, redatto nel settembre 1988, ma sorprendente attuale, alla luce degli sviluppi nei recenti colloqui tra la Santa Sede e la Fraternità Sacerdotale S. Pio X.






Don Enrico Bini (settembre 1988)


Dopo il clamore sul dolorosissimo scisma di Econe, è calato il silenzio, su una vicenda che ha impressionato tutta l'opinione pubblica. Intendiamoci, il gesto di Mons. Lefebvre è grave e assolutamente non condivisibile. Non c'è mai un motivo valido per separarsi dalla sede di Pietro, con un atto di aperta e ostinata disobbedienza. Se la ribellione ha mostrato delle evidenti contraddizioni nell'operato del vescovo scismatico, trascinando i suoi seguaci in una strada senza uscita, la riflessione dei cattolici deve esaminare le istanze che hanno determinato la reazione di persone che si sono trovate a disagio nella Chiesa post-conciliare.

Infatti non si può soltanto condannare senza prima aver tentato di capire i motivi che hanno spinto ad una soluzione tanto radicale. Le personali considerazioni che seguiranno hanno lo scopo di contribuire a riflettere con serenità, ad un problema che ha turbato tante coscienze in questi ultimi mesi.

Un primo rilievo riguarda il presunto contrasto che vi sarebbe nella Chiesa tra i tradizionalisti e i progressisti. Qui si annida un primo equivoco assai pericoloso, perché offre una soluzione troppo schematica delle posizioni. Infatti, nessun tradizionalista può negare il valore del progresso e delle riforme in campo teologico e disciplinare, altrimenti negherebbe l'essenza stessa della natura delle tradizioni, che non sono altro che sedimentazioni successive alla rivelazione contenuta nel Nuovo Testamento.

Il vero problema è di capire che non vi è alcuna contraddizione tra il passato e il presente, come afferma lo stesso Giovanni Paolo II nella lettera "Ecclesia Dei". Bisogna riconoscere che questo desiderio del Papa è stato largamente disatteso dalla teologia contemporanea che ha imperniato la propria ricerca sui concetti di "svolta", di "mutamento epocale", di "nuova modalità" di essere cristiani. Se l'accento non cade sulla continuità vitale che deve legare il nuovo con l'antico, si pongono le basi per la distruzione della credibilità della Chiesa stessa.

La Comunità ecclesiale non ha bisogno di spericolati aggiornamenti che la confondano con lo spirito e le mode del mondo, quanto di sentirsi in una continuità vitale con la Chiesa di sempre. Tradizione e progresso non si elidono ma si completano a vicenda. Questo è il compito del vero teologo che deve presentare con vigore le verità antiche. Purtroppo, questa strada assai difficile da seguire è rimasta poco battuta dalla ricerca teologica attuale, a causa della sistematica distruzione di ogni saldo ancoraggio metafisico. Non sempre si è mostrato il nesso con la tradizione; alcune novità postconciliari avrebbero richiesto una maggiore ponderazione.

Le richieste dell'attuale Pontefice di studiare la continuità tra le novità del concilio e la tradizione dovrebbero far riflettere attentamente. Con l'accettazione del concetto di "svolta", si finisce per condizionare il valore del magistero che rimane impigliato in posizione di debolezza. Perché se i pronunciamenti del passato sono da correggersi, si può ritenere che anche l'attuale magistero non possa imporsi con un grado di certezza tale da divenire obbligante per la coscienza del cristiano.

Questa considerazione era già stata sottolineata da S. Tommaso che nella Somma Teologica si occupa in una intera questione del mutamento delle leggi. Il grande santo con una fine intuizione psicologica nota che, "quando si cambia una legge, diminuisce la forza costrittiva della legge, in quanto si toglie la consuetudine". Questo significa che il mutamento precipitoso delle leggi che regolano la vita sociale finisce per indebolire sia l'osservanza della legge, sia dell'autorità che le promulga. Se questo vale per la legge umana, quanto più delicato è il complesso delle leggi ecclesiastiche e delle norme liturgiche che hanno come fine l'osservanza più perfetta del Vangelo di Cristo.

Il mutamento delle leggi conduce alla confusione delle idee, la confusione alla non applicazione delle norme, perché si induce a credere, che quello che è stato stabilito ora, potrà cambiare domani. Si finisce cioè per cadere in un relativismo e in uno scetticismo sulle capacità dell'autorità. Questo si è verificato puntualmente dopo il concilio, dove alla buona volontà del legislatore non hanno fatto seguito molti dei frutti sperati. Molti si aspettavano la "primavera" della Chiesa, che ancora non si vede.

Forse non si è capito la natura delicatissima del fenomeno religioso che non tollera oltre un certo limite cambiamenti di sorta. Non basta trincerarsi nel dire che i cambiamenti riguardano realtà non essenziali alla vita della Chiesa. Al contrario, vi è un intreccio molto stretto tra le tradizioni ecclesiastiche e Verità di fede che difficilmente si distinguono nei fatti.

Un ultimo rilievo da sottolineare mi viene suggerito da una frase di Mons. Lefebvre nella sua lettera al papa dove denuncia l'accordo de1 5 maggio 1988. Questi afferma che, "lo scopo della riconciliazione non è lo stesso per la Santa Sede e per noi". Qui sta a mio avviso uno degli equivoci pili evidenti di tutta la contesa. Infatti, non si è pienamente compreso che il movimento di Econe non può essere assimilato agli altri movimenti e gruppi che esistono all'interno della Chiesa, creando magari condizioni di privilegio per la tutela del patrimonio liturgico del pre-concilio.
I tradizionalisti non chiedono ambiti privilegiati per coltivare le loro nostalgie, ma pongono un problema a tutta la Chiesa. In questo senso ci si dovrebbe muovere più che sulle concessioni liturgiche o giuridiche, sui problemi teologici che sottintendono alla loro ribellione.

La soluzione dello scisma risiede nella capacità di mettere sul tappeto i veri problemi del contendere che toccano non solo l'applicazione del Concilio, ma il problema metafisico-teologico se le Verità di fede e di morale possono cambiare oppure devono essere identiche ad ogni latitudine ed epoca storica.

In questo senso, lo scisma di Econe ha messo a nudo una divisione che attraversa tutta la Chiesa e non soltanto uno sparuto gruppo di tradizionalisti. Questa situazione dolorosa è una prova che ci aiuterà ad una più prudente azione nella responsabilità di evangelizzare il mondo. In un attento discernimento dei segni dei tempi, perché come scrisse papa Celestino I ai vescovi delle Gallie, "la Chiesa universale riceve urto da qualunque novità".

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