venerdì 26 agosto 2011

Lectio magistralis del Card. Ranjith sull' Ufficio Divino e la spiritualità sacerdotale





Pubblichiamo la traduzione della lectio magistralis tenuta dal Card. Ranjith durante il convegno liturgico dell'Arcidiocesi di Colombo, il 21 agosto 2011



del Card. Albert Malcolm Ranjith


La Costituzione sulla Sacra Liturgia “Sacrosanctum Concilium” del Concilio Ecumenico Vaticano II, presenta l’Ufficio Divino con le seguenti parole:

“Cristo Gesù, il sommo sacerdote della nuova ed eterna alleanza, prendendo la natura umana, ha introdotto in questo esilio terrestre quell’inno che viene eternamente cantato nelle dimore celesti. Egli unisce a sé tutta l’umanità e se l’associa nell’elevare questo divino cantico di lode. Cristo continua ad esercitare questa funzione sacerdotale per mezzo della sua Chiesa, che loda il Signore incessantemente e intercede per la salvezza del mondo non solo con la celebrazione dell’Eucaristia, ma anche in altri modi, specialmente recitando l’ufficio divino” (SC n. 83).

Questa definizione dell’Ufficio Divino è una delle più efficaci ed eminenti per descrivere come la Chiesa si unisca nell’eterno cantico di lode reso a Dio dal Coro celeste con a capo Cristo. In effetti, tutta la Liturgia non è altro che la nostra partecipazione al Coro celeste di lode, di ringraziamento e di invocazione alla somma santità di Dio – “Santo, Santo, Santo” cantavano gli angeli nella visione di Isaia (Is 6).

Il Libro dell’Apocalisse ci rivela la vera natura di quella celeste liturgia messianica incentrata attorno alla figura dell’Agnello immolato, cioè Cristo. Secondo il Libro, San Giovanni ha una visione epifanica o manifestazione (cfr. Ap 5,6) del Re seduto nella maestà del suo trono, l’agnello che è stato immolato (cfr. Ap 5,6), la corte processionale che lo accompagna (cfr. Ap 14, 1-5) e la celebrazione del suo banchetto di nozze (cfr. Ap 19,7), l’altare del sacrificio (cfr. Ap 6,9) incensato dagli Angeli (cfr. Ap 8,3), i sette candelieri d’oro (cfr. Ap 1,12) e l’intronizzazione dell’Agnello (cfr. Ap 5).

Per questo, la preghiera della Chiesa e la celebrazione dei sacramenti sono sempre stati considerati come parte di quella liturgia celeste con a capo Cristo e che viene celebrata in eterno. La Liturgia delle Ore ne è perciò parte integrante. Attraverso di essa, la Chiesa si collega quasi misticamente con il Coro celeste che ha a capo colui che è il Santo, santificando la vita e il tempo e innalzandoli a livello del sacro e dell’eterno.

Papa Benedetto XVI, parlando della Liturgia delle Ore e della vita monastica, nella quale la Chiesa si è formata con l’eredità di tale preghiera, dichiara: “la liturgia non è qualcosa creata dai monaci. Esisteva già prima di loro. Ma è l’ingresso nella Liturgia dei Cieli che viene sempre celebrata. La liturgia terrena è liturgia solo perché si unisce a ciò che è già in corso, la realtà superiore … cantare con questo coro (celeste) è l’essenza della loro chiamata: “davanti agli angeli, canterò le tue lodi” (Un canto nuovo per il Signore – Crossroad book, New York 1996, p.166).

Associando le nostre labbra e i nostri cuori a quella Divina Liturgia e facendolo nelle diverse ore del giorno, noi santifichiamo il tempo e tutta l’attività umana. Le nostre voci, attraverso l’Ufficio, portano l’intero universo al cospetto di Dio, inserendo il nostro tempo nell’eterno “adesso” di Dio. La preghiera perciò in unione con il Coro celeste, fatta nelle diverse ore del giorno, santifica la giornata e la consacra a Dio. Secondo Papa Benedetto, “la liturgia è il mezzo con cui il tempo terrestre si inserisce nel tempo di Gesù Cristo e nel suo presente” (Lo spirito della Liturgia, Ignatius Press, San Francisco, 2000, p.60).

Quando la Chiesa prega le Ore, prega con Cristo sommo Sacerdote nel tempo eterno, rientra perciò nella nostra vita colui che ci viene incontro e santifica misticamente il nostro tempo e le nostre azioni.

San Giovanni Maria Vianney lo esprimeva con altre parole: “la preghiera nient’altro è che l’unione con Dio. Quando qualcuno ha il cuore puro e unito a Dio, è preso da una certa soavità e dolcezza che inebria, è purificato da una luce che si diffonde attorno a lui misteriosamente. In questa unione intima, Dio e l’anima sono come due pezzi di cera fusi insieme, che nessuno può più separare. … Il vostro cuore è piccolo, ma la preghiera lo dilata e lo rende capace di amare Dio” (Il piccolo Catechismo del Curato d’Ars, Tan Books, Illinois 1987, p.29).

Dopo aver presentato in sintesi la preghiera e in particolare la Liturgia delle Ore, vorrei ora rivisitare brevemente con voi le pagine di storia ecclesiale, soprattutto quelle che riguardano l’origine e lo sviluppo della Liturgia delle Ore fino alla sua forma attuale.


Origine e sviluppo della Liturgia delle Ore



Gesù vero uomo di preghiera

Egli veniva da un popolo che sapeva come pregare. Mentre nel mondo ellenistico vi era una crisi di preghiera, poiché spesso si tramutava in magia e consisteva di incantesimi cantilenati per guadagnarsi il favore degli dèi – gli ebrei pregavano sul serio.

Le Sacre Scritture sono piene di vari tipi di preghiera ebraica (ad es, Gen 32, 9-12), il Salterio è una grande collezione di tale preghiera. Le Scritture menzionano per Israele tre ore di preghiera: all’alzata, al momento di coricarsi (Dt 11,19) e a metà pomeriggio (Dt 6,11). Questa era una pratica accettata al tempo di Gesù. (..)

In alcuni esempi, essi hanno verbalmente citato queste preghiere (Mc 14,36; 15,34; Mt 11,2) menzionate dagli evangelisti (Mc 1,35; 6,46; Mt 14,23; Lc 3,21; 5,16; 6,12; 9,18; 9,28; 22,35; Lc 23,34; 23,46; Gv 11,41; 12,27) e ciò mostra che prima di prendere importanti decisioni, Gesù trascorreva lunghe ore in preghiera (la scelta dei dodici, Mc 3,13; la trasfigurazione, Mc 9,12; il Getsemani, Mc 14,32).

Due preghiere di Gesù hanno avuto un grande impatto sulla cristianità in generale. La Preghiera del Signore (Lc 11,2-4; Mt 6,9-13) e la preghiera sacerdotale (Gv 17), che abbiamo ricevuto integralmente. Ed è importante notare che egli ha coerentemente sollecitato i suoi discepoli a pregare (come mezzo per la vigilanza, Mt 26,41, Lc 21,36; per la chiamata degli operai per la sua messe, Mt 9,38; per tenersi concentrati e non scoraggiarsi, Lc 18,1), insegnando loro come attuare ciò (in spirito di umiltà, Lc 18,9-14; nella perseveranza e confidando nella bontà del Padre, Lc 11,5-13; 18, 1-8, ecc. ).


Gli Apostoli hanno seguito fedelmente il suo esempio


Gli apostoli pregavano in ogni momento e chiedevano alla comunità di fare altrettanto (cfr. Ef 6,18; Col 4,2; 1Tes 5,16-18). La comunità seguiva fedelmente le istruzioni pregando “ogni giorno” (cfr. At 2,46) e “continuamente” (cfr. 1Tes 1,2) quando erano soli (cfr. At 10.9), quando si radunavano insieme (cfr. At 2,46) o quando si separavano (cfr. At 20, 36-38; 21,5). Pregavano in casa (cfr. At 2,46; 10,9; 12,15), nel tempio (cfr. At 2,46; 3,1) o in sinagoga (At 13, 14-15). Le preghiere comprendevano lode e benedizione, ringraziamento, confessioni di fede e petizioni di diversi generi, usando spesso salmi biblici, cantici, benedizioni ed inni. Erano perciò di una grande varietà, talvolta personali e a volte in comune o in assemblea. Dobbiamo anche ricordare che fino all’anno 70 D.C. quando Gerusalemme e il suo tempio vennero totalmente distrutti, essi seguivano pure le tradizioni ebraiche di preghiera.


La Chiesa sub-apostolica

Già nella Didachè, che è un testo contemporaneo ai Vangeli, si chiedeva ai cristiani di pregare tre volte al giorno, sostituendo lo shemà Israel (recitazione del Credo ebraico) con il Pater Noster e la dossologia “perché tua è la potenza e la gloria nei secoli dei secoli”. All’inizio del II secolo, una lettera di S. Ignazio d’Antiochia ai cristiani di Magnesia, parla della preghiera in tempi fissi.

E nel III secolo, i Padri della Chiesa quali Tertulliano, Ippolito, Clemente di Alessandria, Origene e Cipriano di Cartagine sollecitano la preghiera in diversi momenti della giornata. Queste indicazioni ci mostrano la tendenza a tempi regolari di preghiera. Con la Tradizione Apostolica e nord-africana, sembra essersi stabilita una completa serie di ore di preghiera:

- All’alzata (catechesi comune nella Trad. Ap.)
- Ora terza, sesta e nona
- Nel coricarsi
- Durante la notte (Trad. Ap.: a mezzanotte e al canto del gallo)

Non è chiaro se tale struttura di tempi si intendesse per la preghiera comune o personale. Quello che possiamo osservare, è che i cristiani pregavano e le ore di preghiera erano probabilmente determinate da una teologia di partecipazione al Mistero pasquale di Cristo.


Il periodo formativo – gli Uffici monastici e della Cattedrale

Nel IV secolo ci fu un’evoluzione, per cui le ore di preghiera vennero a identificarsi come distintamente comunitarie, con la predominanza infine di due forme di preghiera: l’ufficio della cattedrale, che era la preghiera della comunità ecclesiale radunata intorno al Vescovo e ai sacerdoti, e l’ufficio monastico, che era la preghiera degli asceti e degli altri monaci, nella nascente tradizione monastica della Chiesa.

Nell’ufficio della cattedrale, il mattutino e i vespri erano le due ore privilegiate della preghiera quotidiana, e consistevano di elementi popolari quali una selezione di salmi e cantici, scelti secondo la loro convenienza per l’ora ed eseguiti mediante la partecipazione del popolo con responsori ed antifone, l’uso cerimoniale della luce, incenso, processioni e le abituali preghiere di intercessione per le necessità. Tale ufficio delle chiese secolari erano popolari mediante l’uso dei simboli e delle cerimonie (luce, incenso, processioni, ecc.), dei canti (responsori, antifone, inni) e varietà di ministri (vescovi, sacerdoti, diaconi, lettori, salmisti, ecc.). La salmodia non era una ‘recitatio continua’, ma scelta e limitata.

La situazione dei monasteri era diversa. Dal momento che l’ufficio monastico era riservato alla comunità, doveva essere d’aiuto alla preghiera meditativa da praticarsi in comune e si recitava il salterio per intero con la ‘recitatio continua’. I monaci dovevano infatti recitare tutto il salterio in un dato periodo di tempo. Avevano più ore di ufficio – un ufficio notturno (la prima) e sette uffici giornalieri. Questi erano i mattutini, le lodi e i vespri, la terza, la sesta e la nona, e infine la compieta. Le ore subirono diverse modifiche in questo periodo. Fu San Benedetto da Norcia (480-547) a dare all’ufficio divino la sua forma definitiva, che rimase più o meno la stessa fino al 1870.


Il tardo Medio Evo

Dopo la decadenza morale del X secolo e la riforma gregoriana, ci fu una tendenza verso una celebrazione più degna della Liturgia e la ricerca da parte dei chierici di uno stile di vita più regolare. Era il tempo in cui venivano formandosi i canonici regolari, i quali si assumevano il compito di adempiere agli obblighi di preghiera quotidiana della Chiesa. Ma essendo spesso piccole comunità, non erano in grado di raccogliere tutti i testi liturgici per la preghiera usati dai monasteri ben più grandi.

Sorse così l’esigenza di un Ordo che indicasse i testi da cantare con i loro incipit per ogni giorno ed ogni ora liturgica. Fu realizzato con il titolo “Breviarium sive ordo officiorum per totam anni decursionem”. Si gettarono così le fondamenta per il Breviario. Un secondo fattore che contribuì a comporre il Breviario fu la riorganizzazione della Cappella papale. Essa era attigua all’antica basilica costantiniana sul colle Laterano. La Cappella consisteva nella Curia del Papa, la cui liturgia certamente ebbe un’influenza sullo sviluppo della preghiera ecclesiale. La Liturgia delle Ore della cappella papale era una combinazione degli stili di preghiera monastica e di cattedrale, e diventava un modello per gli altri.

La perspicacia dell’imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo Magno, per assicurare un senso di uniformità all’interno del suo regno, e il suo convincimento che ciò si potesse attuare mediante un processo di conformazione alla prassi liturgica della Chiesa e che il centro dell’unità dell’impero fosse Roma, fu una delle cause principali per la romanizzazione della liturgia nell’Impero e per lo sviluppo di una forma più organizzata della Liturgia delle Ore nella Chiesa d’Occidente.

Nel 1215, Papa Innocenzo III volle una revisione dell’ufficio e il risultato fu il “Breviarium Secundum Usum Romanae Curiae”, che fu successivamente rivisto da Papa Onorio III, adottato dai Frati Minori e distribuito in accordo con la seconda regola di San Francesco d’Assisi. A causa della crescente mobilità dei chierici, la richiesta per un’ulteriore versione abbreviata della Liturgia delle Ore portò alla realizzazione di un Breviario da parte del Cardinal Quinones nel 1535.


Il Concilio di Trento e i tempi moderni

Il Breviario di Quinones fu dopo qualche tempo soppresso e sostituito dal Breviario tridentino di Papa Pio V nel 1568. Costituiva il frutto delle riforme liturgiche tridentine e, nei suoi elementi principali, mantenne il classico ufficio monastico delle antiche basiliche romane. I mattutini della domenica consistevano di diciotto salmi e dodici letture; i mattutini feriali erano di dodici salmi e tre letture, mentre le lodi avevano sei salmi e un cantico dell’Antico Testamento. Perfino la compieta conservò i suoi quattro salmi. Si mantennero inni, antifone e responsori, il tutto fissato in un sistema di rubriche. Il santorale fu drasticamente ridotto.

L’invenzione della stampa permise finalmente alla Chiesa d’Occidente di avere il proprio libro ufficiale di preghiera. Si aveva la sensazione, tuttavia, che anche questo breviario richiedesse una riforma. Infatti, seguì un processo semplificato di riforme compiuto dai Papi successivi, in particolare da Pio X. Venne ridotto, ad esempio, il numero dei salmi e delle letture per la domenica e i mattutini feriali.

La Costituzione sulla Sacra Liturgia del Vaticano II esaminò il breviario; nel IV capitolo troviamo la formulazione di alcuni principi per la riforma definitiva del testo. Il Concilio stabilì che:

- Lodi e Vespri siano i due uffici più importanti della giornata e da celebrarsi come tali;
- L’ora nota come 'mattutino' sia adattata in modo da recitarla a qualsiasi ora del giorno, si abbiano meno salmi e letture più lunghe;
- L’ora 'prima' sia soppressa e delle altre ore minori (terza, sesta, nona) se ne dica almeno una;
- la compieta sia la preghiera al termine della giornata e conseguentemente rivista;
- Il salterio sia distribuito su un periodo più lungo di una settimana;
- Si migliori l’impostazione delle letture bibliche e i brani da leggere siano più lunghi. Si proceda a una migliore selezione delle letture patristiche, e gli atti dei martiri e le vite dei santi siano in accordo con la verità storica;
- Gli inni vengano riportati alla loro forma originaria (non-classica) e la sezione estesa;
- Gli uffici siano celebrati alla giusta ora del giorno (Lodi al mattino e Vespri alla sera) e i parroci esortati a far sì che i vespri siano celebrati alla domenica con il popolo.

La revisione effettuata e pubblicata in latino nell’anno 1971, fu quasi integralmente fedele alle succitate raccomandazioni del Concilio. La natura di questo breviario è di essere fondamentalmente semplice, con più Sacra Scrittura attraverso una “lectio continua” di una larga porzione della Bibbia; quasi tutti i salmi del salterio si recitano in un ciclo di quattro settimane, ed il breviario è basato sul nuovo calendario del 1969 che mette l’accento sulle feste cristologiche e sulla liturgia del ciclo delle domeniche. Il santorale è stato semplificato.

Nel lungo cammino dello sviluppo della preghiera liturgica ecclesiale è da sottolineare il movimento silenzioso ma sicuro da uno stato alquanto amorfo e disorganizzato verso qualcosa di più uniforme ma meglio organizzato e teologico.

In tale processo hanno contribuito elementi sia interni che esterni, ma è evidente che la Chiesa ha sempre cercato le vie e i modi per rimanere fedele al comando del Signore di vegliare sempre e pregare, e gli elementi centrali della sua preghiera sono rimasti più o meno gli stessi, in ogni tempo, specialmente nell’uso del salterio ebraico, i testi della Bibbia nelle letture del Vecchio e Nuovo Testamento, gl’inni, i cantici e le preghiere, alcune di queste così antiche quanto la Chiesa stessa.


Considerazioni teologiche


Preghiera celeste

L’Istruzione Generale della Liturgia delle Ore (IGLO) indica chiaramente ciò che abbiamo già illustrato sopra sulla dimensione cristocentrica e trascendente della preghiera liturgica, quando dichiara che “la preghiera diretta a Dio deve essere connessa con Cristo, Signore di tutti gli uomini, unico Mediatore e il solo per cui abbiamo accesso a Dio … Si stabilisce un rapporto intimo tra la preghiera di Cristo e la preghiera di tutto il genere umano” (IGLO n. 6).

Inoltre, la centralità di Cristo nella preghiera ecclesiale è collegata strettamente con la teologia della Chiesa quale Corpo di Cristo, per cui partecipa intimamente allo stesso sacerdozio di Cristo. Afferma l’Istruzione: “quando pregando parliamo con Dio, non per questo separiamo il Figlio dal Padre e quando il Corpo del Figlio prega non separa da sé il proprio Capo, ma è lui stesso unico salvatore del suo Corpo, il Signore nostro Gesù Cristo Figlio di Dio, che prega per noi, prega in noi ed è pregato da noi. Prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo” (n. 7).

Infatti, la preghiera ecclesiale è in spirito, poiché è lo Spirito Santo che spira in noi lo spirito della figliolanza divina che ci fa gridare “ Abbà, Padre” (Rom 8,4). Per questo, la Chiesa dirige sempre le sue preghiere al Padre attraverso il Figlio e nell’unità dello Spirito Santo.

La grandiosa liturgia descritta nel libro dell’Apocalisse e il conseguente invito a tutti noi di unirci a Cristo con e mediante la nostra assimilazione nella preghiera, proietta già il nostro essere nell’eternità e alle altezze della perfezione spirituale.

Siamo invitati a rivivere qui sulla terra il “già” e “non ancora” della salvezza in una sorta di pregustazione del Cielo nella preghiera. Guardare alla preghiera della Chiesa in questa prospettiva profondamente escatologica, ci aiuta a liberare la preghiera stessa dall’essere monotona, impersonale o inefficace.

Non è soltanto una ripetizione di formule o di risposte ma efficace preghiera che può elevarci alle più alte vette di estasi spirituale e trasformazione.

L’episodio del Monte Tabor è una sorta di riflessione su ciò che la preghiera ecclesiale può realmente significare. Secondo Luca, Gesù prese Pietro, Giovanni e Giacomo su un alto monte per pregare, e mentre egli pregava, il suo volto si trasfigurò. L’episodio permise agli apostoli di gettare uno sguardo sulla gloria del Cielo, tanto da sentire perfino la voce di Dio stesso. Era un contesto di preghiera e fu tale la gioia di sperimentare la bellezza celeste che Pietro desiderava restare là.

Se noi ci accostiamo alla preghiera al modo di Pietro e degli altri due apostoli, potremmo renderla il momento più felice e più gratificante della giornata, poiché è Gesù che prega per noi, con noi ed in noi. Ecco perché il Santo Curato d’Ars definiva la preghiera “una pregustazione del Cielo, una cascata di Paradiso” (Il piccolo Catechismo, p.29).


Il tempo santificato

In secondo luogo, l’Istruzione generale specifica chiaramente che la finalità dell’ufficio è anche “la santificazione del giorno e di tutta l’attività umana” (IGLO n. 11), per cui nella revisione del breviario “il suo ordinamento è stato rinnovato in modo da far corrispondere, per quanto era possibile, la celebrazione delle Ore al loro vero tempo” (ibid).

Ho già detto sopra che fin dal tempo dell’antico Israele c’era la convinzione che il tempo appartenesse a Dio e che dovesse perciò essere santificato dalla preghiera. La tradizione ebraica di pregare tre volte al giorno si evolse in una tradizione fissa al tempo in cui fu scritto il libro di Daniele (Dan 6,13) e si sviluppò ancor più nella tradizione cristiana e nella teologia fondamentale.

Alla base vi era la convinzione che ogni tempo deve essere santificato collegandosi intimamente al tempo eterno di Cristo che è l’alfa e l’omega. Con la sua morte e risurrezione, Gesù ha definitivamente spezzato la limitatezza del tempo umano, innalzandolo all’incessante e continuo “adesso” di Dio.

Il suo sacrificio “una volta per tutte” ha reso possibile che l’”allora” sia collegata all’”adesso” e al “non ancora”, di modo che il sole nascente, Gesù, è già nell’eterno “adesso”. La nostra preghiera ci inserisce già in quella atemporalità di Cristo, purificando e promuovendo il tempo e ogni attività umana in Lui.

Pertanto, la preghiera della Chiesa - che altro non è che la preghiera di Cristo eterno Figlio, via, verità e vita - santifica ed eleva al livello dell'eternità il tempo stesso ed ogni attività umana.


Natura ecclesiale


In terzo luogo, la Liturgia delle Ore è la preghiera ufficiale della Chiesa. E’ profondamente ecclesiale. Distinta perciò dalla preghiera personale. Anche se recitata da un individuo, resta la preghiera della Chiesa.

Come insegna l’Istruzione Generale, è preghiera comune, in quanto “chi recita i salmi nella Liturgia delle Ore, li recita non tanto a nome proprio quanto a nome di tutto il Corpo di Cristo, anzi nella persona di Cristo stesso. Se ciascuno tiene presente questa dottrina, svaniscono le difficoltà che chi salmeggia potrebbe avvertire per la differenza del suo stato d’animo da quello espresso nel salmo” (IGLO n. 108).

E pregare insieme alla Chiesa significa pure pregare con tutta la comunione dei santi, la Chiesa militante, purgante e vittoriosa. Non è personale o locale, ma universale e perfino metacosmica, in quanto abbraccia coloro che professano Cristo sulla terra, le anime del purgatorio e quelle del Cielo.

La Chiesa peregrinante perciò non è un’amorfa riunione di persone o soltanto un’assemblea. E’ il Corpo di Cristo, la cui vita interiore è profondamente penetrata e animata dalla grazia vivificante e salvifica di Cristo. Già San Paolo configurava la Chiesa in questo modo: “Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra” (1Cor 12,27).

La Chiesa, saldamente unita a Cristo, diventa perciò la manifestazione terrena della Gerusalemme celeste di cui San Giovanni ha avuto una pregustazione, dicendo: “E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (Ap 21, 1-2).

La preghiera liturgica, con la quale intendo la Liturgia delle Ore, è la conversazione sponsale d’amore tra la Chiesa e Cristo. E come ancora insegna l’Istruzione Generale: “coloro che partecipano alla Liturgia delle Ore danno incremento al popolo di Dio in virtù di una misteriosa fecondità apostolica” (IGLO n. 18). L’Istruzione sviluppa il concetto, affermando: “A loro volta, le letture e le preghiere della Liturgia delle Ore costituiscono una genuina fonte di vita cristiana. Tale vita si nutre alla mensa della Sacra Scrittura e con le parole dei santi, ma è rinvigorita dalla preghiera. Solo il Signore infatti, senza il quale non possiamo far nulla (cfr. Gv 15,5), da noi pregato, può dare efficacia e sviluppo alle nostre opere” (ibid).


Sensibilità pastorale

Si applica in maniera eminente alla vita dei sacerdoti e dei consacrati nella Chiesa, essendo la Liturgia delle Ore uno dei loro principali doveri (Can 246,2; 276,3; 663,2). E’ importante notare che la fedeltà alla preghiera e uno spirito di profonda comunione con il Signore, serve a creare e rafforzare in noi un più forte senso di sensibilità pastorale. Ci aiuta ad essere più vicini alla gente. E’ quanto diceva San Giovanni Maria Vianney, quando esclamava: “Figliuoli miei, il vostro cuore è piccolo, ma la preghiera lo dilata” (op.cit., p. 29).

Quando ci uniamo a Cristo in preghiera, in quella preghiera celeste, noi cresciamo nel cuore di Cristo e acquistiamo una capacità simile di amore pastorale per la nostra gente: in qualche modo, Cristo ci assimila a sé e noi cominciamo ad amare e servire i nostri fratelli e sorelle come Lui. La preghiera ci fonde in Cristo.

Il Papa Benedetto XVI in un discorso a un’assemblea di sacerdoti e diaconi permanenti della Baviera tenuto il 14 settembre 2006, ha dichiarato: “Cerchiamo di recitare la Liturgia delle Ore come vera preghiera in comunione con l’Israele dell’Antica e della Nuova Alleanza, preghiera in comunione con gli oranti di tutti i secoli, preghiera in comunione con Gesù Cristo, preghiera che sale dall’Io più profondo, dal soggetto più profondo di queste preghiere. E pregando così, coinvolgiamo in questa preghiera anche gli altri uomini che per questo non hanno il tempo o l’energia o la capacità. Noi stessi, come persone oranti, preghiamo in rappresentanza degli altri, svolgendo perciò un ministero pastorale di primo grado. Questo non è un ritirarsi nel privato, ma è una priorità pastorale nella
quale noi stessi diventiamo nuovamente sacerdoti, veniamo nuovamente colmati di Cristo”.

Il punto importante qui è che la preghiera davvero non ci allontana dal mondo per entrare in una sorta di limbo privato. Ci inserisce anzi a un livello più profondo nel mondo, dato che, uniti con la preghiera a Cristo, lo santifichiamo e lo purifichiamo dalle macchie di peccato e di morte.

In questo senso, la preghiera liturgica è diversa dalla preghiera privata. La nostra sollecitudine pastorale per la libertà di tutti i nostri fratelli e sorelle e per la loro salvezza in Cristo, crescerà in proporzione. La nostra fatica si trasforma in un’offerta d’amore piuttosto che essere un peso da cui liberarci. Dona forza spirituale a
ciò che facciamo e lo rende fruttuoso. E’ la logica di Cristo, quando afferma: “Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto” (Gv 15,5).


Eucaristia e preghiera


Un altro aspetto importante presentatoci dall’Istruzione generale è che la Liturgia delle Ore è l’estensione alle diverse ore del giorno della grazia salvifica che si effonde dalla celebrazione del mistero dell’Eucaristia: “la Liturgia delle Ore estende alle diverse ore del giorno le prerogative del mistero eucaristico: la lode e il rendimento di grazie, la memoria dei misteri della salvezza, le suppliche e la pregustazione della gloria celeste” (IGLO n. 12).

La trasformazione del pane e del vino nel santissimo Corpo e Sangue di Cristo e la riattualizzazione degli eventi del Calvario, costituiscono il momento culminante nella giornata di ogni sacerdote, religioso o persona consacrata, e perciò di ogni discepolo del Signore. E’ l’evento eucaristico che dà dignità e significato alla nostra preghiera, poiché i cori celesti cantano e lodano Dio nella persona di Cristo, l’Agnello immolato.

Soprattutto per noi preti, l’Eucaristia costituisce il momento culminante del nostro ministero quotidiano. Il sacerdozio non si può mai configurare senza l’Eucaristia. Essa dà senso alla nostra giornata, al nostro impegno e zelo per la salvezza delle anime e alla nostra stessa santità.

E’ dunque essenziale che la santificazione della giornata per i sacerdoti si consideri in rapporto all’Eucaristia quotidiana, e che la nostra Liturgia delle Ore sia una continuazione di quello spirito di stretta comunione con il Signore raggiunta nell’Eucaristia.

Ogni Eucaristia animerà la nostra preghiera e la preghiera a sua volta ci preparerà a quel momento privilegiato di totale assimilazione a Cristo, l’eterno Sommo Sacerdote. Avvenne così anche per Cristo, già con il drammatico momento della sua preghiera nel Giardino degli Ulivi, egli si preparava per il Calvario. Getsemani – Calvario sono stati parte integrante dell’Eucaristia per Lui. E così è per noi sacerdoti.


Servizio di amore

Tra gli aspetti dell’ufficio fin qui non riferiti, vi sono i seguenti: la Liturgia delle Ore ha acquistato una propria struttura con l’invocazione della Trinità, la recita dei salmi, gl’inni, i cantici, le letture scritturistiche, o altre letture nel caso dei mattutini, preghiere dei fedeli, Benedictus, Magnificat, o il Cantico di Simeone, il Pater Noster, la preghiera conclusiva e il congedo.

Dichiara l’Istruzione generale: “Le Lodi, come preghiera del mattino, e i Vespri, come preghiera della sera, sono il duplice cardine dell’Ufficio quotidiano” (IGLO n. 37). Benché il nuovo Codice non lo menzioni esplicitamente, è fatto obbligo ai sacerdoti ed altri di celebrare le Ore di preghiera, secondo la pratica ecclesiale.

La legge liturgica lo prescrive (SC n. 4). La Sacrosanctum Concilium, la Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II, decreta: “i chierici non obbligati al coro, se hanno ricevuto gli ordini maggiori, devono, ogni giorno, in comune o da soli, recitare tutto l’Ufficio, a norma dell’articolo 89”. (SC n. 96).

Il termine “officium” connota un compito da adempiere: una responsabilità. Anche l’Ufficio delle Letture è un dovere per i sacerdoti, come pure almeno una delle tre ore minori e la compieta. Il carattere obbligatorio della preghiera liturgica dei preti, comunque, non si basa tanto su motivi di legge ecclesiale, quanto sull’invito di Cristo stesso ai suoi discepoli “venite e vedete” (Gv 1,39) e “vegliate e pregate” (Mt 26,41).

In effetti, per Papa Benedetto la preghiera è lavoro pastorale. Afferma il Papa: “il tempo che dedichiamo alla preghiera non è un tempo tolto alle nostre responsabilità pastorali, è anzi ‘lavoro’ pastorale; ed è anche preghiera per gli altri. Nel Comune dei Pastori, si legge quale caratteristica tipica del buon pastore, la qualità “multum oravit pro fratribus”. Ciò è proprio del pastore, essere uomo di preghiera, presentarsi davanti a Dio pregando per gli altri, ed anche sostituirsi agli altri che non sanno pregare, non vogliono pregare o non hanno il tempo di pregare. E’ ovvio perciò che questo dialogo con Dio è lavoro pastorale” (Da un discorso a una riunione del clero nella cattedrale di Varsavia, il 25 maggio 2006).

Ed infine, occorre affermare che la preghiera, e specificamente la preghiera della Chiesa, aiuta ogni prete a crescere nel pieno potenziale della sua vocazione profondamente nobile. Lo aiuta non solo a combattere per scacciare il male dal mondo, dal momento che il Signore ha assicurato che “questa razza di demoni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno” (Mt 17,21), ma anche per superare le proprie inclinazioni cattive (“vegliate e pregate per non cadere in tentazione” Mt 26,41). Lo tiene impegnato al proprio lavoro.

Ha affermato Papa Giovanni Paolo II: “la preghiera è essenziale per conservare la sensibilità pastorale verso tutto ciò che viene dallo Spirito” (Lettera di Papa Giovanni Paolo II ai sacerdoti, Giovedì Santo 1987, n.12). Aiuta noi preti anche ad essere forti e rafforzati da Dio di fronte ai dolori e alle sofferenze del nostro ministero, come lo fu Gesù che trasformava in preghiera i suoi momenti più drammatici di decisione nel Giardino degli Ulivi: “entrato nella lotta, pregava più intensamente” (Lc 22,44).


La preghiera ci lega gli uni agli altri

La preghiera ci lega insieme con la Chiesa, specialmente la preghiera liturgica come la Liturgia delle Ore. Ci apre gli orizzonti per abbracciare la creazione stessa fino alle realtà metacosmiche che toccano la stessa eternità di Dio.

Gesù ci ha aperto la via a Dio che era considerato irraggiungibile per la filosofia greca. E' in Lui che noi sperimentiamo l’Amore di Dio. La Chiesa è la vera presenza di Cristo nella storia e così, pregando con Lui e in Lui, possiamo sperimentare continuamente la bontà e la misericordia di Dio. Ciò allarga i nostri orizzonti.

Afferma Papa Benedetto: “Imparo a pregare pregando con gli altri, con mia madre ad esempio, seguendo le sue parole, che gradualmente si riempiono di significato per me nella misura che parlo, vivo e soffro in comunione con lei … ecco perché è impossibile iniziare un dialogo solo con Cristo, tagliando fuori la Chiesa: una forma cristologica di preghiera che escludesse la Chiesa, escluderebbe anche lo spirito e lo stesso essere umano. Ho bisogno di sentire che entro in queste parole in tutto ciò che faccio, nella preghiera, nella vita, nella sofferenza, nei miei pensieri. Ed è questo processo che mi trasforma” (La festa della fede, Ignatius Press, San Francisco 2006, p. 30).

Impariamo dalla Santissima Madre Maria, che in silenzio e in pura obbedienza a Dio ha accettato la missione difficile e dolorosa affidatale, ed è cresciuta in una vita di profonda comunione con il Figlio suo.

Allo stesso modo, Papa Giovanni Paolo II ha affermato: “dobbiamo continuamente ritornare nel Cenacolo e al Getsemani per riscoprire il centro del nostro sacerdozio, nella preghiera e attraverso la preghiera” (Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti, Giovedì Santo 1987, n.13).
Grazie.



+ Malcolm Cardinal Ranjith
Arcivescovo di Colombo, Sri Lanka



FONTE:
http://www.archdioceseofcolombo.com/
LiturgyConv2011_talkbyCardinalMalcolm_21.08.2011.php

(trad. it. a cura di don Giorgio Rizzieri)

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