mercoledì 17 agosto 2011

L’economia dell’indulgenza che spiaceva a Lutero e stupirebbe Marrazzo



di Maurizio Crippa


"Non chiedo anni, ma anime", rispose san Francesco a Papa Onorio, che gli chiedeva di monetizzare in soldoni di purgatorio quella sua irrituale richiesta di indulgenza per i peccatori, che da allora si chiama Perdono d’Assisi. Proprio nel suo giorno, il 2 agosto, la Penitenzieria apostolica ha decretato che i giovani che si confesseranno a Madrid, durante la Giornata mondiale della gioventù, potranno lucrare l’indulgenza plenaria, come formalmente richiesto dal cardinale Antonio María Rouco Varela (era già avvenuto a Sydney e Colonia). Come allora a Papa Onorio, al secolarizzato mondo di oggi quell’offerta di rimettere non solo la colpa ma anche la pena può sembrare anacronistica, fuori tempo, appunto. E del resto quei 200 orrendi confessionali-gazebo piantati alla bisogna nei Jardines del Buen Retiro, nel loro tentativo di non mostrarsi respingenti per i giovani, qualcosa di forzosamente anacronistico, come tutto ciò che vuol apparire attuale, la mostrano. Fanno il paio con la copertina gialla e quel nome da cartone animato, “YouCat”, maldestramente dato alla versione “per voi giovani” del Catechismo.

Invece la posta in palio, soprattutto per Benedetto XVI, è più alta. Non solo chiede anime, ma ha anche qualcosa da dire al secolo del moralismo psicanalizzato e di massa in cui vivono le migliaia di giovani di Madrid. Quello stesso per cui ci si può macerare, persino chiudere in monastero, vergognarsi dei propri errori. Ma sempre come un fatto privato, una legge morale ben sepolta dentro di sé e nessun cielo stellato di sopra, a decidere cosa sia bene e cosa male. Insomma senza mai riuscire a individuare una differenza tra un “peccato” e un’infrazione alla doxa sociale. Per fare un esempio, l’intervista ferragostana di Piero Marrazzo a Concita De Gregorio è, da questo punto di vista, un’apoteosi dello Zeitgeist. Ho sbagliato, dice, “ho fatto un errore. Di questo errore voglio chiedere scusa. Ho sbagliato, scusatemi”. Il quale “errore più grande di tutti”, non è però aver trasgredito una legge ritenuta davvero sacra. Ma “una mia fragilità di fondo, un bisogno privato e così difficile da spiegare, una mia debolezza”. Insomma l’errore è avere debolezze, perché “un uomo che assume un incarico pubblico non può avere debolezze”. Il contrario dell’idea stessa dell’indulgenza, per la quale l’inadeguatezza non preclude la salvezza. Idea piuttosto destabilizzante, per chi ritiene che si possa al massimo “fare un percorso”. Come alle terme.

Invece “l’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati… acquista per intervento della chiesa, la quale, come ministra della redenzione (…) dispensa e applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi” (Paolo VI, costituzione apostolica “Indulgentiarum doctrina”, 1967). Una cosa che irrita, anche già solo nel modo di esprimersi. Le indulgenze infatti sono un vero “tesoro”, “costituito dai meriti infiniti di Cristo”, al quale la chiesa può “attingere”. E’ noto che la cosa indispettì già Lutero: sosteneva che le indulgenze non avessero valore essendo solo una remissione della pena canonica da parte della chiesa. Il Concilio di Trento riconfermò la dottrina, e condannò Lutero. Ma è indubbio che nei secoli successivi il mondo abbia seguito più il monaco che il Papa. Che invece ora a Madrid offre ai giovani la sua buona economia. I debiti, insegna la chiesa, si cancellano non lasciandoli al macero ma con un surplus di investimento di grazia. Così quest’anno la chiesa ha voluto che in quei bislacchi confessionali venga perdonato persino “il peccato gravissimo” dell’aborto, solitamente riservato alla giurisdizione dei vescovi.



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