lunedì 6 giugno 2011

Dobbiamo innanzitutto parlare di Dio




di JOSEPH RATZINGER



Scrutando i segni dei tempi abbiamo visto che il nostro primo dovere in questo momento storico è annunciare il Vangelo di Cristo, poiché il Vangelo è vera fonte di libertà e di umanità.

Il Signore stesso indica il nucleo di questo annuncio con parole brevissime, che devono essere il cuore di ogni evangelizzazione.
All’inizio della sua vita pubblica Cristo riassume così l’essenza del suo Vangelo: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1, 15).
Ma il regno di Dio non è un luogo o un tempo, né una struttura del mondo che noi dobbiamo escogitare e realizzare.
Il regno di Dio è Dio stesso, che si fa vicino a noi, si comunica a noi, si rende unito a noi, per regnare in noi. Annunziare il regno di Dio altro non è se non annunziare Dio vivo e vero. Chi non conosce Dio non conosce l’uomo, e chi dimentica Dio distrugge l’umanità dell’uomo, ignorando la sua vera dignità e grandezza. Per questo sant’Ireneo dice: «Se Dio venisse meno del tutto all’uomo, l’uomo cesserebbe di essere», introducendo così quella famosa dichiarazione dell’umanesimo cristiano, che viene citata spesso, ma a metà: «La gloria di Dio è l’uomo vivente, ma la vita dell’uomo è vedere Dio» (Adversus haereses, IV 20, 7).



Vedere Dio significa tenere aperti gli occhi del cuore all’esistenza di Dio, e le orecchie del cuore alla Sua parola; tendere con tutta la propria esistenza al Dio vivente.
Se il nostro cuore non percepisce e non accetta in alcun modo l’esistenza di Dio, noi cessiamo di vivere veramente, il cuore cerca invano di attingere la vita da altre fonti, mentre in realtà si distrugge, come dimostrano i tanti segni di questo nostro tempo, in cui appaiono evidenti le conseguenze tragiche dell’assenza di Dio. Se nella nuova evangelizzazione dobbiamo innanzitutto parlare di Dio per potere con verità parlare dell’uomo, allora dobbiamo esaminare la nostre coscienze.

Una parte non piccola della nostra catechesi e della nostra predicazione sembra essere stata determinata dalla persuasione che prima di tutto debbano essere risolti gli urgenti problemi economici, sociali e politici, e poi, in tranquillità e pace, possiamo parlare anche di Dio. In questo modo è pervertita la verità delle cose, noi annunciamo una sapienza nostra e un regno umano, mentre occultiamo la luce vera, dalla quale tutto dipende, sotto il velo delle nostre idee ed iniziative. Forse dobbiamo pure ammettere che talvolta la stessa Chiesa, oggi, parla troppo di se stessa, gira troppo intorno a se stessa, alla sua struttura da migliorare, cosicché la confessione del Dio vivente, che ci dona la via e la vita, non risplende abbastanza in essa e da essa. A questo fatto si può applicare ciò che il Signore dice dell’occhio, lucerna del corpo, dal quale dipende se tutto il corpo sarà luminoso o tenebroso (cfr. Mt 6, 22s).
La Chiesa è chiamata ad essere l’occhio nel corpo dell’umanità, per il quale si vede ed entra nel mondo la luce divina. Un occhio che vuole vedere se stesso, è cieco.

La Chiesa non è stata creata per se stessa, ma esiste per essere l’occhio attraverso il quale la luce di Dio ci raggiunge; per essere la lingua che parla di Dio. Anche per la Chiesa vale il fatto che chi cerca se stesso perde se stesso; la Chiesa trova se stessa se chiama gli uomini al regno di Dio, facendoli appartenere al Dio vivente.

Perciò essa deve essere molto cauta nel creare nuove strutture di diritto umano; il criterio sia sempre vedere se essa in tal modo diviene più libera e più idonea per annunziare la parola di Dio. Vorrei aggiungere due osservazioni complementari.
Se la Chiesa innanzitutto predica Dio, essa non parla di un Dio ignoto, ma di quel Dio che nel Suo Figlio ha assunto una carne e ha rivelato a noi il Suo cuore amandoci sino alla fine - la morte di croce.
Nella predicazione cristiana tutto è ricondotto a Dio, ma Dio è in Cristo vero Emmanuele. Si è fatto «Dio con noi», come dice san Matteo nel primo capitolo del suo Vangelo (cfr. Mt 1, 23), e nell’ultimo lo mostra compiutamente: «Io sono con voi tutti i giorni…» (Mt 28, 20).


La Chiesa non annuncia una massa di dogmi e di precetti, il cui giogo sarebbe troppo grave per gli uomini; ma annuncia un giogo soave e semplice: Dio che, in Cristo, è con noi, ci guida e ci porta con il suo amore.
La seconda annotazione è questa: chi parla di Dio, parla della vita eterna dell’uomo, poiché Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi (cfr. Mc 12, 27).
Anche qui dobbiamo esaminare le nostre coscienze. Per timore dell’accusa che noi, parlando della vita eterna, alienassimo gli uomini dall’impegno nel mondo, il nostro annuncio della vita eterna spesso è divenuto troppo tiepido.
Ma l’uomo, privato della speranza della vita eterna, è gravemente mutilato.


La certezza data all’uomo di vivere in eterno con Dio, ma anche di potersi perdere in eterno, non sminuisce il dovere dell’impegno terreno, ma dà all’impegno il suo vero peso e la sua vera importanza. Per questo motivo dobbiamo parlare con grande fiducia tanto della vita eterna quanto della resurrezione della carne. Questa è la nostra gioia: il Signore è andato “a prepararci un posto”, nella casa del Padre infatti «ci sono molti posti» (Gv 14, 2). Il Signore stesso è il nostro posto, è lui la nostra dimora. Questa è la nostra gioia, la gioia del Vangelo, che nessuno ci toglie (cfr. Gv 16, 22). Questa è la gioia che dobbiamo annunziare nella nuova evangelizzazione.

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Questo testo finora inedito è pubblicato da Cantagalli come novità della seconda edizione de “L’elogio della coscienza”, che raccoglie discorsi e interventi pronunciati tra il 1991 e il 2000 da Joseph Ratzinger


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