martedì 31 maggio 2011

Io sono il Pane vivo disceso dal Cielo



Chi mangia il Corpo di Cristo e beve il suo Sangue dimora in Lui, ma chi si accosta all'eucaristica Mensa indegnamente mangia e beve la propria condanna. Se la santa Comunione assimila a Cristo, essa esige uniformità di vita a Colui che si è fatto obbediente fino alla morte. Certamente chi mangia di Cristo "morrà della morte temporale: ma vivrà in eterno, perché Cristo è la vita eterna”.



dai Padri della Chiesa
Commento al Vangelo di San Giovanni - OM 26 - di S. Agostino


Quando nostro Signore Gesù Cristo affermò di essere lui il pane disceso dal cielo, i Giudei cominciarono a mormorare dicendo: «Ma non è costui Gesù, il Figlio di Giuseppe, del quale conosciamo il padre e la madre? Come può dire dunque: Sono disceso dal cielo?» (Gv 6,42). Essi erano lontani da quel pane celeste, ed erano incapaci di sentirne la fame. Avevano la bocca del cuore malata; avevano le orecchie aperte ma erano sordi, vedevano ma erano ciechi. Infatti, questo pane richiede la fame dell'uomo interiore; per cui in altro luogo il Signore dice: «Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, poiché essi saranno saziati» (Mt 5,6). E l'apostolo Paolo dice che la nostra giustizia è Cristo (cf 1 Cor 1,30). Perciò chi ha fame di questo pane, deve sentir fame di giustizia: ma della giustizia che discende dal cielo, della giustizia che Iddio dà, non di quella che l’uomo si fa da sé.

[…] Il Signore, che avrebbe donato lo Spirito Santo, affermò di essere il pane che discende dal cielo, esortandoci a credere in lui. Mangiare il pane vivo, infatti, significa credere in lui. Chi crede, mangia; in modo invisibile è saziato, come in modo altrettanto invisibile rinasce. Egli rinasce di dentro, nel suo intimo diventa un uomo nuovo. Dove viene rinnovellato, lì viene saziato.

[ ... ] «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me ed io in lui» (Gv 6,57). Mangiare questo cibo e bere questa bevanda vuol dire dimorare in Cristo e avere Cristo sempre in noi. Colui invece che non dimora in Cristo, e nel quale Cristo non dimora, né mangia la sua carne né beve il suo sangue, ma mangia e beve a propria condanna un così sublime sacramento, essendosi accostato col cuore immondo ai misteri di Cristo, che sono ricevuti degnamente solo da chi è puro; come quelli di cui è detto: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). >«Come il Padre, il Vivente, ha mandato me ed io vivo per il Padre, così chi mangia di me vivrà per me» (Gv 6,58). Non dice: Come io mangio del Padre e vivo per il Padre, così anche chi mangia di me vivrà per me. Infatti, il Figlio non diviene migliore partecipando alla vita del Padre, egli che è nato uguale al Padre, come invece diventiamo migliori noi diventando partecipi della vita del Figlio nell'unità del suo corpo e del suo sangue, il che appunto viene significato da questo mangiare e bere.

Noi viviamo, dunque, per mezzo di lui, mangiando lui, cioè ricevendo lui che è la vita eterna, che da noi non avevamo; allo stesso modo che egli vive per il Padre che lo ha mandato, perché annientò se stesso fattosi obbediente fino alla morte di croce (cf Fil 2,8). Se infatti prendiamo l'affermazione io vivo per il Padre nel senso di quest'altra: «Il Padre è più grande di me» (Gv 14,28), possiamo dire che a nostra volta noi viviamo per lui, che è più grande di noi. Tutto ciò deriva dal fatto che egli è stato inviato dal Padre. La sua missione, infatti, vuol dire l'annientamento di se stesso nell'accettazione della forma di servo (salva, s'intende, la sua uguaglianza di natura con il Padre). Il Padre è, sì, più grande del Figlio in quanto uomo; ma in quanto Dio, il Figlio è uguale al Padre, essendo un unico Cristo Gesù, Dio e uomo insieme, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo.

Se intendiamo bene le sue parole, egli disse: "Come il Padre, il Vivente, ha mandato me ed io vivo per il Padre, così anche chi mangia di me vivrà per me",volendo farci intendere questo: "Affinché io potessi vivere per il Padre, orientando verso di lui, che è più grande di me, tutta la mia esistenza, fu necessario il mio annientamento, per il quale egli mi ha mandato; a sua volta se uno vuol vivere per me, è necessario che entri in comunione con me mangiando di me; e come io, umiliato, vivo per il Padre, così egli, elevato, vive per me".

Se dice "Io vivo per il Padre", nel senso che il Figlio viene dal Padre e non il Padre da lui, lo può dire senza compromettere in alcun modo l'uguaglianza sua col Padre. Tuttavia, dicendo "così anche chi mangia di me vivrà per me", non vuole indicare una sua uguaglianza con noi, ma vuole mostrare la sua grazia di mediatore. «È questo il pane disceso dal cielo »: mangiando questo pane noi viviamo, dato che da noi non possiamo avere la vita eterna. «Non è - dice - come quello che mangiarono i vostri padri e morirono: chi mangia questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,59). Vuol farci capire che essi sono morti nel senso che non hanno conseguito la vita eterna. Infatti, chi mangia di Cristo anch'egli morrà della morte temporale: ma vivrà in eterno, perché Cristo è la vita eterna.

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