giovedì 14 aprile 2011

Il catechismo dei giovani nasce vecchio. E casca sull'eutanasia




di Sandro Magister




Ieri correva voce che la congregazione per la dottrina della fede avesse ordinato il ritiro dell’edizione italiana del nuovo Catechismo dei giovani, “YouCat”, e la sua ristampa emendata dall’errore di cui ha dato conto il precedente post di “Settimo Cielo”.

Invece no. Il libro resta in vendita. Sulle righe sbagliate hanno tirato una croce a penna gli impiegati della sala stampa vaticana, il 13 aprile, giorno della presentazione ufficiale del libro, prima di consegnarlo ai giornalisti con infilato un foglietto con la traduzione giusta.

Il guaio è che quell’errore non è il solo. Ce n’è almeno un altro che è molto più grave. E riguarda non soltanto la traduzione italiana, ma anche l’originale in tedesco.

Alla domanda n. 382 “L’eutanasia è permessa?”, il Catechismo dei giovani risponde così:

“Provocare attivamente la morte è sempre una violazione del comandamento: ‘non uccidere’ (Es 20, 13); al contrario, assistere una persona durante il processo di morte è addirittura un dovere di umanità”.

E fin qui tutto normale. Ma subito dopo, nel paragrafo che dovrebbe sviluppare e spiegare la prima risposta sintetica, si legge:

“Spesso le definizioni di eutanasia attiva ed eutanasia passiva rendono poco chiaro il dibattito; la questione dirimente è propriamente se si uccide o se si lascia morire la persona. Chi aiuta a morire una persona nel senso dell’eutanasia attiva viola il quinto comandamento; chi invece aiuta una persona durante la morte nel senso di un’eutanasia passiva obbedisce invece al comandamento dell’amore del prossimo. Si intende con questo che, essendo la morte del paziente ormai sicura, si rinuncia a procedure mediche straordinarie, onerose o sproporzionate rispetto ai risultati attesi. Questa decisione spetta al paziente stesso, oppure deve essere messa per iscritto in anticipo. Se il paziente non è più cosciente, una persona delegata deve soddisfare le volontà dichiarate o presumibili del morente. La cura di un morente non può mai essere interrotta, trattandosi di un dovere di carità e di misericordia; in questo senso può essere legittimo e corrispondere alla dignità umana l’uso di palliativi, anche col rischio di abbreviare la vita del paziente; è però decisivo che la morte non sia ricercata né come fine né come mezzo”.

Interpellato su come si possa sostenere che “un’eutanasia passiva obbedisce al comandamento dell’amore”, il cardinale Christoph Schönborn, primo responsabile dell’edizione originale in tedesco del libro, si è difeso sostenendo che in tedesco non si è voluta usare, qui, la parola “Euthanasie”, ma quella di “Sterbehilfe”, cioè di aiuto alla morte, passibile di significati più ampi, anche in senso positivo.

Ma è intervenuto monsignor Rino Fisichella, che invece ha rigettato in blocco – anche nella loro formulazione in tedesco – le formule “eutanasia attiva” ed “eutanasia passiva”, poiché si prestano a fraintendimenti e “non dovrebbero essere più usate”.

In effetti, nei documenti della Chiesa sul tema, tra i quali l’enciclica “Evangelium vitae” di Giovanni Paolo II, non si parla mai di eutanasia “passiva”, ma piuttosto di eutanasia “di omissione”, che cioè tralascia di prestare i trattamenti medici o di sostegno vitale necessari per la persona e proporzionati al suo stato, portandola così volutamente a morte.

E in questi stessi documenti magisteriali l’eutanasia di omissione è anch’essa severamente condannata. Mentre invece è approvata l’astensione dal cosiddetto accanimento terapeutico, cioè da quei trattamenti il cui unico effetto è di aggravare e prolungare le sofferenze.

Non ci voleva molto, nel nuovo Catechismo dei giovani, per dire con parole chiare e semplici un doppio no: a ogni tipo di eutanasia da un lato, e all’accanimento terapeutico dall’altro.

Invece i suoi compilatori si sono imbarcati in un tortuoso giro di frasi, che cominciano col negare la bontà dei termini adottati e finiscono col trasformare in benemeriti gli autori dell’eutanasia “passiva”.

Per non dire del seguito del paragrafo, che, imponendo di “soddisfare le volontà dichiarate o presumibili del morente” non più cosciente, arriva a dar ragione, tra l’altro, a chi sentenziò la morte di Eluana Englaro.

Il cardinale Schönborn ha annunciato che presso la congregazione per la dottrina della fede sarà costituito un gruppo di lavoro per riesaminare l’intero testo del nuovo Catechismo, nell’originale e nelle traduzioni, e per raccogliere tutte le correzioni da apportare nelle successive edizioni.

Anzi, dell’edizione francese 30 mila copie sono già state mandate al macero, per un clamoroso errore a corredo della domanda n. 136, dove la libertà di religione veniva assimilata all’affermazione che tutte le religioni sono uguali ed ugualmente vere.

Mica male, per un testo che si apre con la commossa prefazione autografa di Benedetto XVI, che lo consegna ai giovani come “straordinario per il suo contenuto e per come si è formato”.

In chiusura della conferenza stampa Schönborn, a freddo, ha scaricato la responsabilità degli errori dell’edizione italiana sul cardinale Angelo Scola, che doveva esserne – ha detto – il “garante” e in effetti figura sul frontespizio del libro come titolare della “revisione dei contenuti della traduzione italiana”.

Il paradosso è che Schönborn e Scola sono nel collegio cardinalizio le stelle più fulgenti della “scuola” ratzingeriana. Chissà cosa ne pensa, questa volta, il loro maestro.

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