lunedì 6 settembre 2010

LA LITURGIA TRADIZIONALE

Pensieri dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI

“Va qui ricordato quanto osservò il Cardinale Newman: nel corso della sua storia la Chiesa non ha mai abolito o proibito forme ortodosse di liturgia, perché ciò sarebbe estraneo allo spirito stesso della Chiesa. […]
In molti luoghi persistono e si perpetuano difficoltà perché alcuni vescovi, preti e fedeli considerano questo attaccamento alla vecchia liturgia come un elemento di divisione che non può non disturbare la comunità ecclesiale […]. Qual è la ragione profonda di questa sfiducia e del rifiuto di perpetuare le antiche forme liturgiche? […]
Esaminiamo ora l'altro argomento, quello secondo cui l'esistenza di due riti è un
ostacolo all'unità. Occorre qui distinguere fra l'aspetto teologico e quello pratico. Dal punto di vista teoretico e fondamentale occorre rendersi conto che sono sempre esistite molte forme del rito latino e che esse sono gradualmente cadute in disuso in seguito alla maggiore coesione delle culture secolari europee. Fino al Concilio, a fianco del Rito Romano sono esistiti quello Ambrosiano, quello Mozarabico di Toledo, quello di Braga, quello di Chartreux, quello dei Certosini, quello dei Domenicani, il più noto di tutti, e forse altri di cui non ho conoscenza. Nessuno si è mai scandalizzato che i Domenicani, spesso presenti nelle nostre parrocchie, non celebrassero come i preti secolari ma seguissero un rito proprio. Non abbiamo mai avuto alcun dubbio che il loro rito fosse cattolico al pari di quello romano ed eravamo fieri della ricchezza di tante diverse tradizioni. Inoltre si può dire questo: che viene spesso ampliata la libertà che il nuovo Ordo Missae lascia alla creatività, e che la differenza fra liturgie che si celebrano secondo i nuovi libri, così come vengono di fatto messe in pratica e celebrate nei diversi luoghi, è spesso più grande di quella tra l'antica e la nuova liturgia […].
Dobbiamo essere capaci di persuadere i vescovi che la presenza dell'antica liturgia non turba né rompe l'unità delle loro diocesi, ma è invece un dono destinato a rafforzare il Corpo di Cristo, del quale siamo tutti i servitori. Così, miei cari amici,vorrei esortarvi a non perdere la pazienza, a continuare ad essere fiduciosi e ad attingere dalla liturgia la forza per rendere testimonianza al Signore in questo nostro tempo. […]
Non è stato il Concilio a riformare i libri liturgici, esso ne ha ordinato la revisione e, a questo fine, ha fissato alcuni principi fondamentali. In primo luogo il Concilio ha dato una definizione di che cos'è la liturgia e questa definizione fornisce un metro di giudizio per ogni celebrazione liturgica. Se si ignorano queste regole essenziali e si accantonano le «normae generales» formulate nei numeri 34-36 della Costituzione De Sacra Liturgia, allora sì che si disubbidisce al Concilio! [...] Cosi il Concilio ha ordinato una riforma dei libri liturgici, ma non ha proibito i libri precedenti. […]
Nella «Costituzione sulla Sacra Liturgia» non si parla di celebrazione verso l'altare o verso il popolo; in tema di lingua si dice che il latino deve essere mantenuto pur dando un più ampio spazio al vernacolo «specialmente nelle letture e nelle monizioni, in alcune preghiere e nei canti» (SL, n. 36, 2).
[…]In una parte dei liturgisti moderni c'è purtroppo la tendenza a sviluppare i princìpi del Concilio in una sola direzione, rovesciando così gli intendimenti stessi del Concilio.
[...] C'è poi una pericolosa tendenza a minimizzare il carattere sacrificale della Messa e ad indurre alla sparizione del mistero e del sacro con il pretesto - un pretesto asserito imperativo - che in questo modo ci si fa comprendere meglio. Infine si percepisce la tendenza a frammentare la liturgia, mettendo arbitrariamente in rilievo il suo carattere comunitario. […] Le diverse comunità che sono sorte grazie al documento pontificio hanno dato alla Chiesa un gran numero di vocazioni sacerdotali e religiose che con zelo, in letizia e in stretta unione con il Papa, hanno offerto il loro servizio alla Chiesa in questo nostro attuale periodo storico”, Joseph Ratzinger
A dieci anni dal Motu proprio Ecclesia Dei, Roma 24 ottobre 1998. Conferenza, tenuta presso l'Hotel Ergife, in occasione delle celebrazioni per i dieci anni del Motu proprio "Ecclesia Dei", traduzione dall'originale francese tratta dal Notiziario n. 126-127 di UNA VOCE, Associazione per la salvaguardia della liturgia latino-gregoriana, pp. 4-7.
"Per una retta presa di coscienza in materia liturgica è importante che venga meno l'atteggiamento di sufficienza per la forma liturgica in vigore fino al 1970. Chi oggi
sostiene la continuazione di questa liturgia o partecipa direttamente a celebrazioni di questa natura, viene messo all'indice; ogni tolleranza viene meno a questo riguardo.
Nella storia non è mai accaduto niente del genere; così è l'intero passato della Chiesa a essere disprezzato. Come si può confidare nel suo presente se le cose stanno così? Non capisco nemmeno, ad essere franco, perché tanta soggezione, da parte di molti confratelli vescovi, nei confronti di questa intolleranza, che pare essere un tributo obbligato allo spirito dei tempi, e che pare contrastare, senza un motivo comprensibile, il processo di necessaria riconciliazione all'interno della Chiesa", Joseph Ratzinger, da Dio e il mondo, Edizioni Paoline, 2001, p. 380.
* * *
È precisamente quest’«opera di Cristo» il vero contenuto della liturgia […] divenuto
estraneo al pensiero moderno, tanto che trent’anni dopo il concilio anche fra i liturgisti cattolici è oggetto di un punto interrogativo. Chi parla oggi ancora di “divino sacrificio eucaristico”? Certo, le discussioni attorno alla nozione di sacrificio sono ridivenute sorprendentemente vive tanto in ambito cattolico che protestante.
[…]
Restano ancora vive alcune vecchie posizioni illuministe con i loro pregiudizi verso
la magia e il paganesimi [del sacrificio]. Così poco tempo fa Stefan Orth, in un ampio panorama della bibliografia recente consacrata al tema del sacrificio, ha creduto di poter concludere la sua ricerca, con la seguente constatazione: «Oggi infatti molti cattolici sottoscrivono essi stessi la sentenza e le conclusioni cui pervenne Martin Lutero, per il quale parlare di sacrificio era “il più grande e più spaventoso abominio” nonché una “maledetta empietà”». […]
Non ho certo bisogno di dire che io non appartengo a questi “numerosi cattolici” che, con Lutero, considerano come il più spaventoso abominio e una maledetta empietà il fatto che si parli di sacrificio della Messa. Si capisce dunque perché il redattore [Orth] abbia rinunziato a citare il mio libro sullo spirito della liturgia, nel quale si analizza nei particolari la nozione di sacrificio. Ma la sua diagnosi resta tale da sgomentare. È vera? Io non conosco questi numerosi cattolici i quali ritengono una maledetta empietà l’intendere l’Eucarestia come sacrificio. [Ma certo] una parte non trascurabile di liturgisti sembra praticamente giunta al risultato di dare sostanzialmente ragione a Lutero contro [il concilio di] Trento nella disputa del XVI secolo. […] È soltanto partendo da lì, dalla squalificazione pratica di Trento che si può intendere l’esasperazione che accompagna la lotta contro la possibilità di celebrare ancora, dopo la riforma liturgica, la Messa secondo il messale del 1962.
Questa possibilità rappresenta la più forte contraddizione e perciò la meno tollerabile per l’opinione che ritiene che la fede nell’Eucarestia formulata da Trento abbia perduto la sua validità […].
Il nuovo illuminismo oltrepassa però di gran lunga Lutero: mentre questi prendeva ancora alla lettera le parole dell’istituzione [eucaristica] e le poneva, come norma normatrice, a fondamento dei suoi tentativi di riforma, oggi, dopo tanto tempo, le ipotesi formulate dalla critica storica sono sulla via di provocare un’ampia erosione dei testi stessi. Dietro le parole dell’Ultima Cena, che appaiono come un prodotto della costruzione liturgica della comunità, si cerca un Gesù storico, il quale naturalmente non poteva aver pensato al dono del suo corpo e del suo sangue, né aver inteso la sua crocefissione come sacrificio espiatorio. […] Ritorniamo al nostro quesito fondamentale: è giusto qualificare l’Eucarestia come Divin Sacrificio o è questa una maledetta empietà? […] La Scrittura e la Tradizione formano un tutto inseparabile, ed è questo che Lutero […] non ha potuto vedere. [..] Nella citata rivista bibliografica, Stefan Orth afferma che il fatto che dopo il vaticano II, si sia evitata la nozione di sacrificio, ha indotto a “pensare il culto divino soprattutto a partire dalla festa di Pasqua in relazione alle parole dell’Ultima Cena”. […] Ma ciò che soprattutto sorprende nella formulazione di Orth è l’opposizione che viene introdotta fra l’idea di sacrificio e la Pasqua. […]
Se cito questa strana opposizione fra la Pasqua e il sacrificio, è perché essa rappresenta l’architrave anche di un libro recentemente pubblicato dalla Fraternità Pio X, nel quale si pretende ch’esista una rottura dogmatica fra la nuova liturgia di Paolo VI e la tradizione liturgica precedente. La rottura è vista precisamente nel fatto che s’interpreta ormai tutto, presumibilmente, a partire da questo «mistero pasquale» invece che come sacrificio redentivo d’espiazione operato da Cristo. La categoria del «mistero pasquale» sarebbe insomma l’anima della riforma liturgica e questo parrebbe precisamente la prova della rottura rispetto alla tradizione classica della Chiesa. È chiaro che vi sono degli autori, i quali prestano il fianco ad un tale malinteso. Ma che si tratti di un malinteso, è del tutto evidente per chi osservi le cose più da vicino. In effetti l’espressione «mistero pasquale» rinvia chiaramente ai fatti avvenuti nei giorni che vanno dal Giovedì Santo fino al mattino di Pasqua: l’Ultima Cena come anticipazione della croce, il dramma del Golgota e la resurrezione del Signore. Nelle parole «mistero pasquale», tutti questi episodi sono letti sinteticamente come un unico avvenimento, unitario, come «l’opera di Cristo» così come noi all’inizio abbiamo sentito dire dal concilio. […]
La teologia della Pasqua è una teologia della Redenzione, una liturgia del sacrificio espiatorio. Il Pastore è divenuto agnello. L’immagine dell’agnello, che fa la sua apparizione nella storia d’Isacco, dell’agnello che s’impiglia nei cespugli e che viene offerto in riscatto per il figlio, è divenuta una verità: il Signore di fa agnello, si lascia legare, sacrificare, per liberarci. […] Tutto questo è divenuto estremamente estraneo al modo di pensare contemporaneo. […]
Così la crisi della liturgia investe delle concezioni che sono centrali per l’uomo: per superarla, non basta banalizzare la liturgia e trasformarla in un semplice raduno o in un pasto fraterno. […] Questo è il sacrificio cristiano: i molti-un solo corpo in Cristo […]. Chi ha inteso questo, non sarà più del parere che parlare di sacrificio della Messa è per lo meno fortemente ambiguo e anche un abominevole orrore. […]
La reazione dei Gesù contro i mercanti del tempio era in pratica un attacco contro l’immolazione di animali ivi presentati, dunque un attacco alla forma esistente di culto, di sacrificio in generale. È per questo che le autorità giudaiche competenti gli domandano a buon diritto com’egli giustifichi un tal gesto, che doveva considerarsi equivalente a un attacco alla legge di Mosè e alle sacre prescrizioni dell’Alleanza. E Gesù risponde “Distruggete (sciogliete) questo tempio; e in tre giorni lo riedificherò” (Giov. 2, 19). […] Gesù, secondo Giovanni, fu crocifisso esattamente nel momento in cui gli agnelli pasquali venivano immolati nel tempio. Nel momento in cui il Figlio si costituisce egli stesso quale agnello, cioè a dire si dona liberamente al Padre e anche a noi, egli pone fine alle antiche prescrizioni cultuali che non potevano essere che un segno di una realtà autentica. […]
Un sacrificio di lode […] il sacrificio della preghiera non deve essere puramente discorsivo, bensì la trasmutazione del nostro essere nel logos, l’unione con lui. […]
La nostra conformità a Dio […] ecco cosa significa il «sacrificio della Messa». […] Se il canone romano menziona Abele, Abramo, Melchisedec, includendo fra di loro coloro che celebrano l’Eucarestia, ciò è nella convinzione che in essi, nei grandi offerenti, è Cristo che travalica i tempi. […] La teologia della Patristica quale troviamo nel canone, non nega l’inutilità e l’insufficienza dei sacrifici pre-cristiani; il canone include del resto, assieme alle figure di Abele e di Melchisedec, anche i “santi pagani”, essi medesimi entro il mistero di Cristo. […]
Trento non si è ingannato, collocato com’era sulle solide fondamenta della Chiesa. Esso resta un criterio affidabile. […] Ma questa comprensione rinnovata e approfondita [di Trento] possa, grazie in particolare alla mediazione delle chiese orientali, rendersi accessibile ai cristiani protestanti. Una cosa dev’essere chiara: la liturgia non deve essere un terreno per sperimentare ipotesi teologiche. Troppo rapidamente in questi ultimi decenni, le concezioni di alcuni periti sono entrate nella pratica liturgica, aggirando spesso l’autorità ecclesiale, attraverso commissioni che si assicurano la diffusione di un consenso momentaneo a livello internazionale e di emanare praticamente delle leggi per l’azione liturgica.
[Invece bisogna] servire colui che è il vero soggetto della liturgia: Gesù Cristo. La liturgia non è l’espressione della coscienza di una comunità, del resto sparsa e mutevole. Essa è la rivelazione accolta nella fede e nella preghiera, Josef Ratzinger, da La teologia della liturgia, Abbazia di Fontgombault, 22-24 luglio 2001.
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Oggi sembra assurda una “celebrazione verso la parete” o “un mostrare le spalle al popolo” (p. 75). Ma con la celebrazione versus populum ”si è introdotta una clericalizzazione quale non si era mai data in precedenza. Ora, infatti, il sacerdote … diventa vero e proprio punto di riferimento di tutta la celebrazione. Tutto termina su di lui. … L’attenzione è sempre meno rivolta a Dio…
Il sacerdote rivolto al popolo dà alla comunità l’aspetto di un tutto chiuso in sé. Essa non è più – nella sua forma – aperta in avanti e verso l’alto, ma si chiude in se stessa. L’atto con cui ci si rivolgeva tutti verso oriente non era “celebrazione verso la parete”, non significava che il sacerdote “volgeva le spalle al popolo”: egli non era poi considerato così importante.
Difatti, come nella sinagoga si guardava tutti insieme verso Gerusalemme, così qui ci si rivolgeva insieme “verso il Signore” Per usare l’espressione di uno dei padri della costituzione liturgica del concilio Vaticano II, J.A. Jungmann, si tratta piuttosto di uno stesso orientamento del sacerdote e del popolo, che sapevano di camminare insieme verso il Signore. Essi non si chiudono in cerchio, non si guardano reciprocamente, ma, come popolo di Dio in cammino, sono in partenza verso l’oriente, verso il Cristo che avanza e ci viene incontro.” (p. 76)” - ““Con disgusto di molti liturgisti nel 1978 avevo sostenuto che non è affatto detto che tutto il canone deve essere pronunciato a voce alta. Dopo averci riflettuto, vorrei ripeterlo ancora una volta con forza, nella speranza che dopo vent’anni questa tesi possa trovare un po’ più di comprensione. Nel frattempo i liturgisti tedeschi, nella preoccupazione di riformare il messale, hanno essi stessi dichiarato espressamente che proprio il punto più alto della celebrazione eucaristica, il canone, è divenuto il loro vero punto di crisi.
A partire dalla riforma si è cercato di fargli fronte anzitutto con l’invenzione continua
di nuove preghiere eucaristiche, precipitando così ulteriormente nel banale. La
moltiplicazione delle parole non aiuta…. Non è affatto vero che la recitazione ad alta voce, ininterrotta, della preghiera eucaristica sia la condizione per la partecipazione di tutti a questo atto centrale della celebrazione eucaristica. La mia proposta di allora era: da una parte l’educazione liturgica deve far sì che i fedeli conoscano il significato essenziale e l’indirizzo fondamentale del canone; dall’altra, le prime parole delle singole preghiere dovrebbero essere pronunciate a voce alta come un invito a tutta la comunità, così che, poi, la preghiera silenziosa di ciascuno faccia propria l’intonazione e possa portare la dimensione personale in quella comunitaria, quella comunitaria nella dimensione personale” (pp. 210-11).Josef Ratzinger da Introduzione allo spirito della liturgia,Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2001.
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